Riceviamo e volentieri pubblichiamo
La battuta di arresto nella elezione da parte del Parlamento dei giudici della Corte Costituzionale e dei componenti il Consiglio Superiore della Magistratura (nelle prossime ore ci auguriamo possa esserci uno sbocco positivo) ha visto rinnovarsi gli attacchi al Parlamento.
Secondo alcuni commentatori questa vicenda sarebbe il sintomo dello scontro fra organi costituzionali ed evidenzierebbe la debolezza di un Parlamento ingestibile e rissoso. Alcuni editorialisti fanno poi riferimento al senso di sfiducia che avvolge la Corte e il CSM per il venir meno di alcune difese “immunitarie”(rigorosamente previste dal costituente) rispetto a condizionamenti esterni. Certamente le questioni poste hanno un fondamento.
Vorrei limitarmi a qualche riflessione sul Parlamento. Da tempo, quando la politica è stata sospesa e i partiti sostanzialmente svuotati, il legislativo ha perso la sua forza di attrazione. Tutto questo a cascata ha messo in crisi le istituzioni di democrazia rappresentativa. Si è andati nella direzione di rafforzare gli organi monocratici svuotando quelle assembleari. Il cittadino è sempre meno partecipe e si affida agli illuminati di turno e a una realtà consolare disseminata nel Paese.
Dal 1994, quindi, la nostra repubblica non è più sostanzialmente parlamentare ma presidenziale possiamo dire quasi o semi ma di fattura tutta nostra. Certo in violazione del dettato costituzionale. Abbiamo modificato di fatto la Costituzione con le leggi elettorali. Il fastidio nei confronti del parlamento è un fenomeno in espansione. Le riforme dell’attuale governo: quella del Senato, la nuova legge elettorale annunciata, quella della giustizia che non ha il coraggio di affrontare la modica del CSM e delle carriere dei magistrati (e non solo), quella delle provincie stravagante e incostituzionale; vanno nella direzione dello smantellamento dello stato di diritto.
Si dischiudono prospettive inquietanti senza parlare dell’economia che non si risana con la raffica devastante delle promesse seguite dall’aumento delle tasse, dalla deflazione, dalla disoccupazione, dal calo della produttività, dalla resa di una classe imprenditoriale o della sua fuga. Ma quello che dà enorme fastidio è l’arma del ricatto che usa continuamente il Presidente del Consiglio nei confronti del Parlamento per approvare i provvedimenti del governo preferibilmente senza discussioni. Questo è il tramonto della democrazia. Noi non ci rassegniamo. Siamo impegnati a costruire una alternativa per anteporre la democrazia e la politica a chi oggi la nega.
Non siamo soli. Come si può pensare che l’Italia affondi nel mare delle illusioni e non trovi la forza di riprendere il cammino senza affidarsi a capi carovane improvvisati, adusi a guidare piccole tribù per territori angusti?