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Ecco come noi ventenni possiamo svegliare il centrodestra

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

Mi inserisco nel dibattito aperto da Andrea Camaiora su Formiche.net, poiché penso che in questi ultimi anni della generazione dei ventenni, quella che, calcisticamente parlando, dovrebbe essere il vivaio della politica, non si scorge ancora traccia.

Molto probabilmente perché non si è ancora compreso bene il concetto di “gioventù” in politica: finché  la volontà di costruire il futuro senza attenderlo genericamente supera il rimpianto del passato, allora si è giovani. Quando però la nostalgia si impadronisce dei politici, e troppo spesso anche dei ventenni, allora è la politica che si degrada. Intanto però i ragazzi, con grande enfasi retorica , continuano a chiedere il ricambio generazionale, l’arma di chi si aggrappa ancora alla carta d’identità per nascondere un vuoto di proposte, di chi vuole evidenziare i bisogni piuttosto che i sogni di una generazione.

Poi, all’improvviso,  scopri che di ventenni nelle sedi dei partiti di centrodestra, nonostante le fanfare giovanilistiche di qualche decano della politica che vuol farsi bello circondandosi di giovanotti , ce ne sono sempre di meno, ed in futuro diminuiranno ancora di più, perché non si possono forzare i ragazzi o le ragazze ad occuparsi di politica. Per questo abbiamo bisogno di un cambio di mentalità  prima ancora che di classe politica: ed i primi a cui chiedere un salto di qualità siamo noi, la generazione dei ventenni.

Ma serve ritrovarci intorno a simboli riconosciuti: certamente non possiamo fare riferimento alle numerose “kermesse” dei giovani di centrodestra,  dove non si fa altro che sventolare carte d’identità a suon di retorica,  senza un disegno chiaro ed organico per il futuro, dove si aspetta una benedizione che non arriverà mai (penso alle famose tavole rotonde alla “bresaola” che cita Camaiora). Si vuole mettere nero su bianco negli statuti dei partiti il movimento giovanile, salvo poi accorgersi che sono dei contenitori dove ci si affida più al megafono che alle idee, dove domina l’autoreferenzialità e la logica della cricca, senza alcun interesse verso tutti quei giovani che sentono intimamente di essere d’accordo con la visione del mondo tipica del centrodestra, ma che non hanno la “fortuna” di poter dire “conosco quel deputato, ci penserà lui a me”.

Non dovremmo continuare a chiedere spazio in quanto giovani, non dovremmo più perdere tempo a dibattere ore ed ore su chi sia migliore tra Almirante e Berlinguer, non dovremmo attendere genericamente il futuro, ma anticiparlo, capendo che prossimamente saremo noi a dover guidare l’agenda politica sui temi che coinvolgono appieno la nostra generazione: il lavoro, con welfare annesso , l’istruzione, il rapporto tra villaggio globale e il bisogno di locale, la politica internazionale, l’Europa e soprattutto il problema immigrazione. E perché non includere nel patto generazionale anche la riscrittura delle regole del gioco: dopo il Senato, è peccato e tabù in Italia parlare, senza furore ideologico o banderiologico, di Presidenzialismo?  L’unico modo però è quello di confrontarsi seriamente sulle idee, sui progetti e sui sogni, non con le carte d’identità e le banderuole. Anche se, dobbiamo essere sinceri, non possiamo confrontarci in base ai metodi ed ai simboli del passato. Per noi ventenni,ad esempio, Fiuggi è una nota marca di acqua minerale, non la città sede del congresso che ha trasformato la destra italiana ed Einaudi è un pianista, non il più grande economista e politico liberale italiano.

Non esiste oggi un leader politico che affermi con tanta decisione il valore della politica, in una società che è dominata dalla logica per cui, nel villaggio globale, quello del mercato e della rete, le decisioni politiche contano pochissimo. Ma a noi ventenni cosa costa provarci?

DECRESCITA FELICE? NO GRAZIE

Quante volte avremo sentito in Tv filosofi, come Massimo Fini, parlare di decrescita felice, descrivendo la nostra società come destinata a soccombere? Noi ventenni invece, come pensiamo l’Italia tra 20 anni, riusciremo ad essere protagonisti della vita economica, sociale e politica del nostro paese? Certo è che se pensiamo che il nostro paese debba adattarsi alle condizioni di mercati come quello cinese, allora è certo che soccomberemo. Per questo motivo dovremmo puntare, e la nostra generazione ha l’obbligo di farlo, su qualcosa che nessuno potrà mai copiare, che è insito nella nostra tradizione: il capitale umano,quel mix tra talento personale, istruzione e pratica che si tramanda di generazione in generazione. La nostra generazione qua può giocare un ruolo fondamentale, soprattutto nella fortissima sinergia che saremo obbligati a creare tra locale e globale, dovremo giocare sulla fame di Italia nel mondo. Perché alla fine è chi investe che crea lavoro, non il politico. A proposito di questo, sarà la nostra generazione a capire  che quando si “chiede lavoro” direttamente politica ed ai politici, invece di chiedere una qualsiasi semplificazione normativa per chi “crea lavoro”, il politico si comporta da centro per l’impiego e ci fa contenti e gabbati, aprendo l’ennesima partecipata dove piazzare amiche e amici? Allora, sia chiaro, se una partecipata pubblica, di solito a livello municipale, va bene e sta sul mercato, anzi addirittura guadagna, ben venga: troppo spesso però accade che siano improduttive, anzi vadano avanti a perdere. Non significa criminalizzare il settore pubblico , ma si tratta di fare una scelta politica lungimirante per evitare che la generazione che ci ha preceduto ci scavi la fossa per il futuro a suon di sprechi e sprechini. Continuiamo a parlare di settore pubblico, anche qui guai a criminalizzare a casaccio, ma partiamo da una semplice constatazione: gli impiegati di questo settore, ovviamente quelli assunti in tempo di vacche grasse,  hanno goduto di enormi benefici e grandi vantaggi rispetto ai privati: non sarà il caso di pensare di avvicinare gradualmente il trattamento pubblico a quello privato? Non si tratta di tagliare le teste, ma semplicemente di sanare un qualcosa che non sta ne in cielo ne in terra: è una questione di buon senso, molto semplice.

TUTTI STARTUPPARI, O FORSE NO?

Parlando di lavoro, il collegamento con noi giovani è automatico. Oggi su questo fa più audience un discorso di Briatore alla Bocconi che quello di un Poletti qualsiasi che riferisce alla Camera o al Senato : il Boss di The Apprentice si è ritrovato davanti alla platea della futura classe dirigente manageriale italiana ed internazionale, quella fissata con le start up, con i venture capitals e quant’altro, e lui ha detto apertamente che “le start up sono fuffa, iniziate con lavori normali che è meglio, tipo una pizzeria, che se almeno fallite vi mangiate una pizza”. Sgomento da parte degli studenti, ed anche qualche risata ironica. Briatore ha fatto crollare le nostre certezze da startuppari oppure ha semplicemente anticipato noi ventenni, ci ha svegliato dal rischio, che esiste, di correre dietro a chimere irrealizzabili? Perché è vero che le nuove tecnologie e le start up sono cose meravigliose, stupende,  ma attenzione a non cadere nell’inganno che il futuro sia solo e soltanto quello. Non diventeremo tutti startuppari, ecco.  Chi impasterà la pizza, chi riparerà i tubi dell’acqua se tutti saremo di fronte ad un computer? La nostra generazione cosa farà: si abbandonerà all’idealismo che tutto è rete, tutto è connessione,  tutto è start up,oppure rimarrà anche con i piedi sulla terra? Perché qua si tratta di essere non dei vaghi idealisti, ma dei pragmatici sognatori.

RIVOLUZIONE COPERNICANA NELLA SCUOLA

Un ruolo fondamentale ce l’ha l’istruzione, sia secondaria che universitaria. Molti ventenni sono appena usciti dalle scuole superiori, per questo dovremmo capire bene che nel 21esimo secolo non c’è riforma della scuola, con tanto di scioperi studenteschi ad Ottobre, che tenga se non si cambia la mentalità ed il modo di approcciarsi a questo mondo tanto affascinante quanto complicato. Non bastano solo leggi e norme, serve un grande cambiamento di prospettiva, una rivoluzione della semplicità che rimetta di nuovo al centro lo studente e ciò che il mercato del lavoro richiede, non altri interessi. Penso ai licei linguistici, in pochissimi istituti si insegna il cinese,anche se in giro per il mondo ci sono ben 100 milioni di cinesi tra turisti ed imprenditori. Penso alle scuole tecniche, troppo spesso prese come sfogatoio da chi non ha voglia di studiare invece che l’opportunità di avere quel valore aggiunto di manualità che tanto è ricercato. Basti pensare che è dalle scuole tecniche che esce quel personale, l’artigiano ed il piccolo imprenditore, che rappresentano il meglio del nostro export. Penso poi ai piccoli comuni, che penso possano essere rilanciati culturalmente in altri modi, penso ai “Borghi più Belli d’Italia,  anche senza costruire l’ennesimo istituto o sede distaccata voluto dal politico di turno, poiché “polo di eccellenza culturale”: puntiamo sui grandi plessi scolastici nei maggiori centri, forniti di aule informatica moderne e palestre agibili, potenziando il trasporto ed agevolando gli abbonamenti per gli studenti meno abbienti. Per quanto riguarda il mondo universitario iniziamo con una constatazione semplice: l’università deve essere costruita intorno agli studenti o intorno ai professori e politici? So che a molti di voi quel “costruita intorno” ricorderà una nota pubblicità di una banca, ma concentriamoci sul problema: in Italia accade che miriadi di sedi distaccate nascano ovunque non per le esigenze dello studente o perché lo chiede il mercato, ma per aumentare le cattedre. Va attuata una grande e semplicissima rivoluzione copernicana nel mondo universitario: rimettere al centro gli studenti, far capire alle istituzioni che le nostre università devono competere con quelle cinesi e americane, non con la sede distaccata del comune di Vattelapesca. Solo così creeremo veramente dei poli di eccellenza di cui vantarci nel mondo e non degli stipendifici a carico del contribuente.

TRA VILLAGGIO GLOBALE E CAMPANILE, SCEGLIAMO ENTRAMBI

La nostra generazione sta vivendo, da protagonista assoluta  la catena di eventi più strabiliante della storia dell’uomo: la globalizzazione, Internet per tutti e la comunicazione immediata da tutti gli angoli della terra. Non spediamo più lettere con francobollo, ma ci tagghiamo, condividiamo le nostre speranze ed i nostri sogni, ma anche le nostre incertezze e paure, su tutti i social network,da twitter a facebook,  le informazioni si googlano in pochissimi secondi ed arriviamo in America con biglietti low cost, dall’oggi al domani. Ditemi che queste connessioni globali non sono una delle cose più fantastiche mai capitate! Eppure in Italia sentiamo forte l’attaccamento alla tradizione ed ai ritmi lenti, abbiamo fame di locale. Il localismo e la globalizzazione, il piccolo comune ed il villaggio globale, non sono concetti che cozzano: sono la più potente combinazione sociale ed economica che il nostro paese poteva offrirci. Se noi ventenni riusciamo a capire che tutte le nostre eccellenze sono frutto di saperi locali tramandati nel tempo, allora ci sarà chiaro che la destinazione a cui dovremmo puntare non è ne un campanilismo da strapaesana, ne sentirci totalmente sradicati dai contesti dove siamo nati e cresciuti: serve una prospettiva glocal, un mix tra globale e locale, e lo devono capire i politici di oggi e la futura classe dirigente. Penso poi alle tante scampagnate all’estero di presidenti di provincia e regione, oppure ai gemellaggi inutili dei comuni, simbolo di un rapporto globale-locale male interpretato e sfaccendato: facciamo viaggiare chi produce ed esporta bellezza, i veri simboli del Made In Italy, non chi vuole farsi una gita fuori porta a carico del contribuente per non concludere nulla.

UNA STRATEGIA DA GRANDE PAESE

A proposito di villaggio globale, l’agenda politica del futuro sarà già molto fitta per i nostri problemi interni, ma nel tempo della globalizzazione la politica estera ha un ruolo sempre più importante, non ci si può scherzare nascondendoci dietro un’Europa che, ne parleremo dopo, non ha  benché minima influenza. Spetta anche allo  stato italiano occuparsi della diplomazia. Le sfide sono grandi ed affascinanti: da una parte la Russia, un gigante economico che sta alle porte della nostra Europa e che ruggisce, e dall’altra il problema della polveriera mediorientale, con lo stato islamico, ma non dimentichiamoci della Libia: la

futura classe dirigente si giocherà gran parte della sua credibilità anche su questo. La strada delle sanzioni contro la Russia penalizza paesi esportatori come il nostro, e soprattutto dipendiamo dalla Russia per il gas: converrà veramente il muro contro muro oppure dovremo metterci ad un tavolo e trovare una soluzione per l’Ucraina. Le popolazione russofone sentono un attaccamento istintivo e naturale verso la Russia, proviamo a rispettarli. Per il medio oriente a situazione è e continuerà ad essere critica: i nostri nemici principali, L’isis, sono a loro volta i nemici dei cosiddetti paesi canaglia, come Siria e Iran.  E noi, che posizione prenderemo, si può combattere l’Isis e combattere contemporaneamente anche contro Assad? E la Russia, non meriterebbe di avere un ruolo nella lotta al terrorismo? Se nella nostra scala il principale nemico dell’occidente è l’Isis, allora dovremmo agire di conseguenza, con alleanze strategiche. Non si tratterebbe di scendere a patti ed allearsi con chi fino a poco tempo fa gasava le persone, ma di  riconoscere che l’occidente in politica estera ha fatto una miriade di errori che ci hanno portato a questo, e noi in qualche modo dovremmo rimediarvi. E dobbiamo scegliere, in fretta, e prendere una posizione salda. Ovviamente in questo campo serve un’Europa che, almeno in politica estera, abbia una strategia unitaria. Si,parliamo anche d’Europa.  In giro per il continente siamo soprattutto noi ventenni, cresciuti a pane ed Erasmus, a sentirci anche europei, forse gli adulti un po’ meno. Gli europei,in linea di massima, ci sono: è l’Europa che sembra mancare all’appello. E a pensare che per la nostra generazione il continente avrebbe potuto significare una della più importanti opportunità politiche per cambiare anche l’Italia, soprattutto perché il rafforzamento del territorio ha bisogno di un ambito comunitario europeo per definire la propria identità nel villaggio globale,  ma purtroppo sembra che ci stia sfuggendo tutto di mano. La nostra generazione si arrenderà ad un’Europa fatta solo delle scandalose doppie sedi del parlamento europeo, dei fondi strutturali europei usati per fare le rotonde e di Maastricht, che ci evoca costantemente il rapporto tra debito e Pil, oppure sarebbe ora di riappropriarsi, con pragmatica idealità, di un sogno, di uno spazio politico che va riempito non di percentuali, ma di temi veri?

IL PROBLEMA DEL MILLENNIO: L’IMMIGRAZIONE

La Libia per noi è un problema spinoso, poiché è da li che partono i flussi migratori più consistenti verso il nostro paese: siriani, sub sahariani e nordafricani. Per quanto tempo possiamo continuare a sostenere questi enormi flussi? E’ una domanda semplice e lecita, che la nostra generazione sembra non essersi posta con serietà.  Perchè non poter destinare più fondi ai cooperanti in Africa, per aiutare questa povera gente nella loro patria: l’Africa ha possibilità di sviluppo economico strabilianti, ce lo ha detto anche Briatore, perché non investire? Certo la situazione geo politica africana è caotica, ma alcuni paesi stanno vedendo la luce: come si dice spesso, portiamo le canne da pesca e non il pesce.

BENVENUTO PRESIDENTE

Il presidenzialismo è qualcosa di importante, non un feticcio a cui aggrapparsi quando si sono finiti tutti i temi di cui parlare nel centrodestra: è lo spartiacque tra un potere esecutivo poco incisivo ed uno più incisivo. Semplice: un primo ministro eletto direttamente dai cittadini, sempre con i dovuti contrappesi costituzionali, ha più potere di cambiare in profondità un paese rispetto ad un semplice nominato dal Presidente della Repubblica.  Senza comparare con altri modelli costituzionali esteri (tipo francese o americano), il Presidenzialismo sarebbe il naturale sviluppo di una politica sempre più concentrata sulle leaderships: se c’è una figura di spicco in un partito o coalizione, perché non votarlo direttamente, senza aspettare accordi e accordicchi di partito? L’Italia ha veramente paura di una svolta “autoritaria”, oppure siamo un popolo abbastanza maturo? Opto per la seconda. Sarà una rivoluzione tranquilla: pensate quanto sarebbe bello se alla nostra generazione venisse veramente in mente di riscrivere la Costituzione? Una assemblea costituente dove i giovani non sventolino più le carte d’identità e non vivano più nel ricordo di esperienze mai vissute, e gli anziani magari mettano da parte la nostalgia. Un sogno troppo grande? Non so. Ma perché non provarci? Iniziamo il 18 Ottobre, a Milano.

@mirkogiordani94


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