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Perché Piketty sbaglia sull’Europa

Piketty dà un grande contributo di analisi sulla distribuzione del reddito e del capitale, confermando in modo inequivocabile quella che è stata l’evoluzione dell’economia, tutta orientata a favorire la finanza e riducendo gli ambiti di sviluppo reale per famiglie ed imprese.

Conseguentemente, appare chiaro come si debba affrontare il problema di un livello della tassazione che favorisce le grandi fortune e penalizza i piccoli. Tuttavia, a me pare che sia meno convincente il suo assist all’Europa dell’euro che potrebbe vedere una rivisitazione grazie a sforzi della Francia e dintorni, all’azione di Matteo Renzi ed alla conversione della Germania.

Insomma, più unione in Europa, secondo me, avrebbe un senso se ci fosse un rafforzamento degli Stati nazionali (unico spauracchio per la grande finanza e le multinazionali) che portasse a migliorare i rapporti tra essi: aspettare un Messia dall’attuale assetto sarebbe come aspettare la liberazione dal Faraone.

L’attuale capitalismo, infatti, è divenuto ultrafinanziario dopo il 2001, vale a dire che non scommette più tanto sulla valorizzazione dei titoli, quanto sull’accelerazione delle emissioni e, se il guadagno è dato dai titoli tossici e dalla loro esplosione, non servono istituzioni o debitori  in regola, ma, al contrario, crisi e difficoltà di ogni genere perché questo consente di massimizzare le emissioni.


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