L’aggiornamento del World Economic Outlook, diffuso ieri dal FMI, lancia un segnale di allarme violentissimo per l’economia dell’Eurozona: non si tratta di contabilizzare solo il rallentamento della crescita in Europa, un dato che ormai è stato metabolizzato dai mercati. Il quadro dell’Eurozona è così sintetizzato: stagnazione, con il Pil in contrazione in Italia, nessuna crescita in Francia e una inaspettata debolezza della Germania nel secondo trimestre. L’economia è debole dappertutto, ad eccezione degli Usa, ma l’Eurozona rischia il tracollo.
I TRE INDICATORI CHE PREOCCUPANO
Ci sono tre indicatori congiunturali, in netto peggioramento rispetto alle previsioni di aprile scorso, che destano preoccupazione: nell’Eurozona, le probabilità di una recessione tra il terzo trimestre dell’anno in corso ed il secondo trimestre del 2015, che pure sono aumentate in quasi tutti gli scachieri mondiali, sono cresciute di ben quindici punti, passando dal 22,5% al 37,5%. Le probabilità di deflazione, che sono invece pari a zero in tutto il resto del globo, sono passate dal 22,5% al 30%.
I PERICOLI DI DUE CURVE
In Europa, in terzo luogo, il danno derivante dalla combinazione di stagnazione/recessione, alta disoccupazione, scarso sostegno creditizio al sistema produttivo e ridotta dinamica dei prezzi è rappresentato dall’andamento di due curve, le cui tendenze si incrociano pericolosamente: mentre quella che definisce il rapporto tra debito privato e reddito disponibile non accenna a scendere, ed invece cala vistosamente sia negli Usa sia in Giappone, quella che individua l’andamento del credito anno su anno al settore privato dell’economia tende ancora a collocarsi nel quadrante negativo, in particolare in Italia e Spagna. E’ una dinamica pericolosa, perché se da una parte c’è meno credito disponibile per gli investimenti delle imprese e per le famiglie, e ciò influisce sulla crescita, dall’altra il peso del debito non si riduce rispetto al reddito, perché quest’ultimo rimane stabile. Paradossalmente, ora, le famiglie americane hanno un rapporto debito/reddito inferiore a quelle dell’Eurozona: ciò è dipeso dal differenziale di crescita reale e nominale, tutto a favore degli Usa.
LE DIFFERENZE FRA EUROPA E USA
Le diverse politiche delle banche centrali, Fed e Bce, hanno determinato un andamento molto diverso nella valorizzazione degli asset privati, sia per quanto riguarda la ricchezza delle famiglie, sia per quanto riguarda gli immobili: negli Usa, dopo la caduta registrata dopo il 2009, sia i prezzi delle case sia la ricchezza delle famiglie misurata come multiplo dei redditi sono in piena ripresa. Il recupero dei corsi di Wall Street è stato completo, consentendo di recuperare la perdita subita con la crisi, mentre per i prezzi delle case c’è ancora un forte divario, visto che l’indice è a quota 115 (anno base 2000) rispetto al picco di circa 140 registrato nel 2008.
IL RUOLO DEGLI ABS NEGLI STATI UNITI
I bassi tassi di interesse decisi dalla Fed sono stati accompagnati dal Qe3, un sistema che ha immesso liquidità nell’economia innanzitutto attraverso l’acquisto di titoli del Tesoro, evitando così di far utilizzare il risparmio privato ed i fondi delle banche al finanziamento del deficit pubblico; inoltre, con il riacquisto di ABS detenuti dalle Agenzie federali che cartolarizzano i mutui, sono stati assorbiti titoli che, comunque garantiti dagli immobili, appesantivano i bilanci bancari. In questo modo le banvche non si sono dovute far carico di finanziare il deficit federale ed anzi con le cartolarizzazioni dei mutui hanno ottenuto nuove risorse per finanziare la ripresa economica. Nel frattempo, il deficit pubblico ha evitato che la ripresa venisse compromessa da una contrazione delle spese pubbliche o da un aumento delle tasse.
LA MORTIFERA EUROPA
Nell’Eurozona, invece, il consolidamento fiscale ha ridotto drasticamente la capacità di spesa delle famiglie: le aziende marginali sono fallite, così come centinaia di migliaia di commercianti ed artigiani si sono trovati senza mercato. L’aumento della tassazione, in particolare sulla casa in Italia con l’Imu, la Tasi e la Tari che hanno assunto un carattere predatorio, ha colpito il settore dell’edilizia già in crisi: l’andamento dei prezzi degli immobili è ancora in calo, con un effetto di impoverimento generalizzato. Nel complesso, il rapporto tra ricchezza e reddito è stagnante: la prima ala ed il secondo non cresce.
L’APPELLO DEL FMI ALLA BCE
Il giudizio del FMI non è mai stato così netto: la ripresa nell’Eurozona rimane debole, il tasso di disoccopazione eccede i livelli di equilibrio in molti Paesi, l’inflazione è troppo bassa, segnalando una pervasiva carenza di domanda. Ciò comporta la necessità di ulteriori azioni da parte della Bce, rispetto a quelle positive, già decise: se l’inflazione prevista non dovesse crescere e le aspettative dovessero ancora puntare ancora verso il basso, la Bce dovrebbe voler fare di più, anche comprare titoli del debito sovrano. Naturalmente, servono cospicui investimenti in infrastrutture, non solo in Germania.
LA PORTATA DELLA SVOLTA
Siamo ad un epilogo, inimmaginabile fino a pochi mesi fa: è una svolta keynesiana in piena regola. Basta ricordare il braccio di ferro ingaggiato tempo fa con la Banca d’Inghilterra, che imitava la Fed acquistando non solo titoli del Tesoro ma anche di privati sul mercato, mentre Westminster non riduceva affatto il deficit: non basta un mercato del lavoro flessibile per assicurare la ripresa economica.
TUTTI I BENEFICI DEL NEOKEYNESISMO TARGATO FMI
Al Fmi ci si è resi conto che il sistema bancario non può rappresentare il canale idoneo a far affluire la liquidità necessaria in economie fortemente provate dalla recessione, perché lo esporrebbe nuovamente ai rischi sistemici da cui con tanta fatica, tra Asset quality rewiew, Stress test e sistemi di risoluzione unficata delle crisi bancarie, lo si sta pilotando fuori. Da parte della Bce, aver ridotto a zero i tassi di riferimento, anche rendendo disponibili al sistema bancario cospicue risorse con le T-Ltro, non è sufficiente: la liquidità ristagna, ed anche i rendimenti ormai risibili dei titoli di Stato rappresentano un porto sicuro ancorchè del tutto inadeguato per un corretto funzionamento dei mercati. Acquistare titoli di Stato, da parte di una Banca centrale, significa immettere liquidità nel circuito economico senza esporre il sistema bancario al rischio di finanziamenti alle imprese che sarebbero poco sostenibili in un contesto macroeconomico negativo. Consente poi agli Stati di sostenere la crescita attraverso investimenti che migliorino le infrastrutture, e quindi l’offerta ed il prodotto potenziale. Sono spese che si traducono in stipendi e profitti per le imprese.
Per l’Europa, ormai, non si tratta di cambiare le regole del Fiscal Compact, ma di cambiare finalmente gioco.