Di seguito il testo della quinta puntata di Oikonomia, rubrica settimanale di Marco Valerio Lo Prete (giornalista del Foglio) ospitata da Radio Radicale. Ogni lunedì mattina, dopo la rassegna stampa, potrete ascoltare una nuova puntata. (Qui tutti gli audio di Oikonomia e i testi finora pubblicati).
Il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha incontrato i sindacati martedì. Dopo il confronto a distanza e spesso dialettico degli ultimi mesi, che continua oggi sulla riforma del mercato del lavoro, Renzi ha detto che è disposto a riaprire la cosiddetta Sala verde di Palazzo
Chigi. La location dell’incontro non è casuale, essendo quella Sala diventata negli anni il simbolo della “concertazione” tra governo e parti sociali. La stessa concertazione che Renzi aveva detto finora di voler superare.
LA GENESI DELLA CONCERTAZIONE
Per concertazione s’intende un metodo di gestione della politica economica che si caratterizza non solo per il confronto costante con organizzazioni sindacali e datoriali, ma anche con la ricerca del loro consenso preventivo su alcune politiche se non addirittura della loro assistenza nell’implementazione delle stesse politiche. Per anni l’Italia ha visto all’opera questo schema concertativo. La sua genesi si fa risalire all’accordo interconfederale del 1975 per la riforma della scala mobile, cioè quel meccanismo che doveva adeguare
automaticamente le retribuzioni al costo della vita. Quell’accordo del 1975, nominato “Lama-Agnelli” in onore del segretario generale della Cgil e dell’allora presidente di Confindustria, era in realtà originariamente un accordo bilaterale tra sindacati e imprenditori. Poi però il governo sostenne pubblicamente l’intesa al punto di estendere gli effetti di un accordo deciso a Roma tra sindacati e Confindustria ovunque nel paese, a tutti i lavoratori, perfino quelli del settore pubblico. Da quel momento il metodo della concertazione era destinato ad ampliare il suo raggio d’applicazione: dall’inflazione si passerà negli anni alle pensioni e al welfare, ai
contratti di lavoro, poi perfino alla gestione di Alitalia e alla distribuzione di incentivi fiscali.
CONCERTAZIONE AI TEMPI DI DINI, MONTI E LETTA
All’inizio degli anni 90 – e pur dopo vicende alterne, come quella del referendum popolare sulla scala mobile vinto a dispetto dell’opposizione di Cgil e Pci – la concertazione fu ulteriormente perfezionata durante i primi governi tecnici come quello di Giuliano Amato e poi più tardi di Lamberto Dini. Lo schema concertativo, entrato parzialmente in crisi col secondo governo Berlusconi, viene definitivamente abbandonato dal presidente del Consiglio tecnico Mario Monti. Senza il consenso preventivo dei sindacati e degli imprenditori, tra 2011 e 2012, furono approvate per esempio la riforma delle pensioni e la riforma del lavoro Fornero. Poi, dopo la parentesi lettiana, anche Renzi ha dichiarato di non volersi fermare di fronte ai veti posti da organismi intermedi come sindacati e Confindustria, da lui giudicati scarsamente rappresentativi della realtà sociale.
LA VISIONE DEL PREMIO NOBEL PHELPS
Ma è davvero così strano lasciarsi alle spalle la concertazione? Tutt’altro, secondo Edmund Phelps, economista statunitense, nel 2006 insignito del Premio Nobel per l’Economia. Phelps negli anni 80 e 90 si fermò spesso in Italia a studiare il sistema economico del nostro paese. Nel suo ultimo saggio sull’Italia, “Entreprise and Inclusion in Italy”, del 2002, si concentrò su quelli che ritenne due aspetti patologici del nostro sistema, forieri di crescita anemica o stagnazione, e cioè l’insufficiente spirito d’impresa e i bassi livelli occupazionali. Quasi 15 anni fa, Phelps rispetto al mercato del lavoro, suggeriva per esempio due cose: l’introduzione di una maggiore flessibilità e poi la diminuzione del salari nel Sud Italia attraverso meccanismi di contrattazione decentrata su base territoriale. Ma come condizione preliminare per fare tutto ciò, proponeva “l’abolizione della concertazione perché, fino a che i sindacati non perdono il loro potere di veto sulle riforme, sarà difficile immaginare che queste riforme – che colpiscono gli interessi costituiti – possano essere attuate. In un certo modo la democrazia
richiede l’abolizione della concertazione, perché il sistema attuale priva la cittadinanza del diritto di votare sul tipo di sistema economico che giudica migliore per sé”.
L’IMPOSTAZIONE RENZIANA
Riaprendo la Sala verde ai sindacati e alle associazioni ufficiali degli imprenditori, Renzi intende forse resuscitare la concertazione? A giudicare dai temi posti all’ordine del giorno, questo esito è tutt’altro che scontato. Il governo infatti vuole discutere di rappresentanza in fabbrica (con l’idea che se i sindacati non si accordano tra loro sarà l’esecutivo a legiferare), di salario minimo (finora avversato da molti sindacati), e infine della riforma della
contrattazione nazionale. E’ sempre più impensabile che tutto quello che riguarda infatti la vita di lavoratori e imprenditori si possa decidere a Roma in un dialogo tra centrali sindacali e Confindustria.
LA DIREZIONE DI MARCIA
Il processo da favorire – anche sulla scorta di quanto accaduto in altri paesi europei, come la Germania e la Spagna – è un avvicinamento della contrattazione alla realtà della produzione e del lavoro. In molte aziende è un processo già in corso, e non sempre “derogare” al contratto nazionale è voluto dire “peggiorare” le condizioni di quel contratto.
Ora però, dopo gli accordi non eccessivamente ambiziosi che le parti sociali hanno raggiunto nel 2009 e nel 2011 sulla contrattazione di secondo livello, il governo evidentemente vuole capire fino a che punto si è disposti a lasciare che siano i contratti aziendali a decidere magari perfino dell’entità del salario, ma soprattutto della struttura retributiva (tra parte fissa e parte variabile), di turni e orari, di inquadramento professionale, di welfare e formazione.
Finora in Italia ha prevalso generalmente il vincolo centralistico di Confindustria e sindacati confederali. A scapito della competitività di molte aziende italiane, dicono i dati sui cui torneremo nelle prossime puntate, ma anche a scapito della “democraticità” del sistema, se vogliamo prestare ascolto al premio Nobel Phelps.