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Ecco chi mescola armi e religione per seminare guerre

“Mai più una guerra mondiale” tutti gridarono sulle macerie, con più di 70 milioni di morti, alla fine degli anni ’40. Già, oggi ci sono 64 Stati in guerra, con 584 organizzazioni belligeranti (dal sito “guerre nel mondo”). Fu fatta l’ONU, per evitare altre guerre; è diventato un carrozzone di carnevale, pieno di costose figure di cartapesta. In apparenza la causa più frequente di queste guerre sembra essere l’integralismo religioso islamico, con le sue dottrine interne, in particolare sunniti contro sciiti o viceversa.

Parentesi. Maurice Sartre in un suo recente libro sostiene che “…il monoteismo ha creato l’integralismo religioso… i monoteismi si basano su testi ispirati da Dio o addirittura da Lui stesso consegnati, con il divieto assoluto di ridiscuterli, pena il sacrilegio…”; anzi bisogna convertire gli altri, gli infedeli, al proprio Dio, con la missione della parola o della forza. Solo il giudaismo poi ha ripiegato sulla conversione di tutti “alla fine dei tempi”. I politeismi antichi invece si fondavano su miti dai contorni mobili, mai origine di guerre missionarie; anzi molti “dei” venivano adottati da confessioni diverse. Chiusa parentesi.

Oggi la religione sembra usata come arma di guerra negli scontri economici e finanziari dei grandi processi di mondializzazione in atto. Ci sono molte confusioni di armi , fornite e rifornite (senza munizioni le armi servirebbero a poco) per un fine e usate per il fine opposto. Armi occidentali date contro Assad in Siria (probabilmente per rompere il fronte sciita Iran-Siria) si sono ora ritorte contro gli occidentali, in una spirale sunnita integralista tesa a conquistare anche l’Irak, oggi, e forse i Paesi dei sunniti moderati, Arabia Saudita ed Emirati, domani. Oppure potrà essere il contrario; i sunniti moderati, usati gli integralisti per sbarazzarsi di sciiti scomodi, poi elimineranno i loro mercenari per la creazione di una immensa area sunnita. Per non parlare degli effetti su altri popoli di quelle regioni, come i curdi, i turchi, i libanesi; senza contare il cuore delle religioni monoteiste, Gerusalemme e Israele. In poche parole si tratta di una guerra lunga, lunghissima; anche perché essa si è estesa a macchia d’olio in molti Paesi africani, aree “di moda” negli interessi economici internazionali.

Prima della mondializzazione queste guerre potevano essere definite “regionali” o “nazionali”; e ce ne sono ancora di questo tipo tra i cosiddetti conflitti indipendentisti. Ma quelle prevalenti rientrano nei processi di sviluppo della mondializzazione economica. E in questo senso possono essere considerate guerre mondiali, perché non possono essere risolte “in loco”; con armi, denari, risorse e addirittura mercenari prelevati dalla povertà della emarginazione metropolitana o del sottosviluppo e, a quanto si dice, ben pagati materialmente e “spiritualmente”: tutto ciò con risorse internazionali, a copertura di affari internazionali, che sembrano seguire la rituale logica del “divide et impera”.

In conclusione, la mondializzazione economica contiene in sé anche un germe di guerra, che, se pur locale, ha implicazioni e conseguenze mondiali. Lo strumento più usato è la religione, ma anche il fanatismo, l’estremismo della miseria e ove possibile, il nazionalismo o regionalismo di comodo. Una mondializzazione, dunque, per certi aspetti pericolosa; dalle grandi guerre calde e poi fredde dei secoli scorsi siamo passati alle microguerre diffuse, dagli effetti internazionali e a volte mondiali. Che fare? Disarmare; mettere tutte le armi, le loro produzioni, i loro commerci, i loro movimenti, sotto un controllo internazionale molto rigido. Roberto Benigni un giorno sostenne che se la gente voleva fare la guerra, la doveva fare a manate, così le guerre sarebbero finite: forse ridurre tutto a manate non sarà possibile; ma assistere impotenti al maneggio di mitra, bazooka, missili e quant’altro, con pezzi di ricambio, accessori e assistenza continua, sembra un tantino paradossale, quasi che il tutto avvenga per destino… divino.



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