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Il sistema pensionistico italiano? Non regge. Parola di Mercer

Il sistema pensionistico italiano? Non è sostenibile. Lo sapevamo già, ma a darci ulteriore (s)conforto è la società di consulenza internazionale Mercer che, in collaborazione con l’Australian Centre for Financial Studies (Acfs), ha confrontato i sistemi pensionistici di 25 nazioni, quasi il 60% della popolazione mondiale, sulla base di oltre 50 indicatori raggruppati in tre macro-aree: adeguatezza, sostenibilità e integrità. Risultato: l’Italia è 19esima, su 25. La ricerca è stata finanziata dal governo dello stato australiano di Victoria: l’Australia si piazza seconda nella classifica generale con un punteggio di 79,9, preceduta solo dalla Danimarca a quota 82,4 e seguita dai Paesi Bassi (79,2), Svizzera (73,9) e Svezia (73,4). Ultima è l’India a quota 43,5, poco sotto il Messico (43,6).

UN SISTEMA PRONTO ALL’IMPLOSIONE
L’Italia in totale ha 49,2 punti ma è nella media per adeguatezza e integrità, mentre vanta il peggior piazzamento in termini di sostenibilità. Insieme a Messico, Cina, Indonesia, Giappone e Corea del Sud, fa parte del gruppo di coda del ranking ed è cioè tra le nazioni che, totalizzando tra 35 e 50 punti, rivelano di avere preoccupanti debolezze cui è necessario fare fronte al più presto per non penalizzare l’efficacia e la sostenibilità del sistema nel lungo periodo.
«È la sostenibilità di medio lungo periodo, l’area dove il sistema pensionistico italiano risulta più debole – spiega Roberto Veronico, responsabile della Divisione Retirement di Mercer Italia – il nostro punteggio è di 13,4 contro una media di 49,7 e gli 86,5 punti della Danimarca, prima della classe. Sebbene l’adeguatezza delle pensioni erogate oggi in Italia sia più che soddisfacente, il valore della macro area sostenibilità ci dice che questo in futuro può non essere più vero. Le ragioni sono da ricercarsi: nella minima adesione a piani pensionistici privati (solo il 14% della popolazione in età lavorativa) e nel conseguente livello di attività delle pensioni private, pari solo al 6,6% del Pil; nel contesto demografico di invecchiamento della popolazione attiva, tra i più bassi dei 25 Paesi analizzati»

LE RIFORME GLOBALI FUNZIONANO
«È importante sottolineare come i punteggi medi siano in aumento nel corso del tempo – spiega Deborah Ralston, direttore esecutivo dell’Australian Centre for Financial Studies – indicando come le riforme dei sistemi pensionistici nel mondo stiano avendo un effetto positivo. Il punteggio medio per i 14 paesi oggetto di studio nel 2010 è stato 61,7 rispetto a 64,3 per gli stessi paesi nel 2014».
Obiettivo dello studio non è classificare buoni e cattivi ma “suggerire soluzioni – commenta Veronico – nelle aree di maggior problematicità”. E lo stesso «allargamento della base di nazioni oggetto di studio da parte del MMGPI – conclude Ralston – riflette il fatto che la maggior parte dei Paesi sono alle prese con gli effetti sociali ed economici dell’invecchiamento della popolazione ed un confronto globale può portare ad insegnamenti globali per governi, aziende e mondo accademico».

… MA L’ITALIA DEVE INTERVENIRE IN FRETTA
E quali sono queste soluzioni? Mercer individua intanto le principali aree di intervento dei nostri decisori istituzionali italiani sul sistema previdenziale: ovvero l’aumento della copertura del sistema pensionistico privato attraverso elementi di obbligatorietà; la riduzione dell’accesso a benefit di natura previdenziale prima del pensionamento; il miglioramento della governance dei piani pensionistici privati all’insegna della massima trasparenza; l’occupabilità di popolazioni in età prossima all’età pensionabile.
Viene da chiedersi come la nuova tassazione imposta da Matteo Renzi sui fondi pensione (che passa dal 20 al 26%) e la proposta di ritirare in busta baga, a scelta del lavoratore, il tfr possano contribuire allo sviluppo delle pensioni private.


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