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Berlusconi abbandona la comunicazione degli ultimi vent’anni

Silvio Berlusconi, l’uomo che ha fatto della comunicazione televisiva lo strumento principale della lotta politica, considerando vecchi i riti e la macchinosità dei partiti della Prima Repubblica, eliminati dalla furia giustizialista di Mani Pulite e da una ondata moralista che rispolverò l’Etica di Stato di hegeliana e fascistica memoria, è, alla soglia degli ottant’anni, l’innovatore che spiega a Forza Italia – e a qualsivoglia altra formazione politica che si presenti sulla scena con intonazioni velleitaristiche a imitazione della democrazia 2.0 di Grillo e Casaleggio – che la politica in tv è morta. Che i talk show che hanno a lungo imperversato nei programmi televisivi producendo tribuni, imbonitori, populisti arrabbiati e volti prevalentemente a sinistra, sono diventati archeologia mediatica: incapace di raccogliere ascolti da brivido; inadatta a spostare voti sia pure in piccole dosi; ha fatto il suo tempo e, suscitando confusione, concorre ad allontanare il cittadino dai problemi dello sviluppo economico e dall’esercizio del potere democratico.

Si tratta di una svolta epocale che ribalta vent’anni di pseudo comunicazionismo politico, sterzato bruscamente a sinistra ma attribuito, quanto alle origini storiche, ad una Forza Italia concepita come emanazione di Publitalia. Solo che, eccessiva e strumentale tale interpretazione del successo – e comunque del dominio berlusconiano nelle tecniche comunicative politiche -, tale convinzione costituiva una forzatura del sistema politico. Mentre la conseguente contrapposizione fra berlusconismo e antiberlusconismo, nel corso della quale si è tanto parlato di riforme, non ne ha realizzata alcuna.

Anche molti che gli furono vicini, cedendo ad un carismatismo di tipo cesaristico e napoleonide, hanno per primi abbandonato Berlusconi nel momento delle più violente aggressioni giustizialiste indirizzategli per obbligarlo a sgombrare il campo della politica, quasi accusandolo di averlo occupato abusivamente per un ventennio, oltre tutto in maniera improduttiva. Ma nessuno degli aspiranti a succedere al leone ferito ma non domo, può onestamente negare la capacità di Berlusconi di rappresentare la maggioranza del moderatismo italiano. In fondo, tutti hanno sposato le tecniche comunicative berlusconiane; e ora si trovano spiazzati da un uomo di comunicazione vera che, preso atto del fallimento della politica intesa come esclusivo possesso delle tecnologie audiovisive, esorta ad invertire la rotta: a tornare al rapporto diretto fra ceto politico e territori rappresentati. Perciò è ora lui il primo a proporre il ricorso alle primarie provinciali (o circoscrizionali o comunque concepite come strumenti appropriati di selezione di classe dirigente locale e centrale), che è qualcosa di parecchio diverso dalle primarie per la leadership nazionale, che scimmiotta le abitudini elettorali americane.

Colpisce, nella capacità di Berlusconi di cogliere il senso elementare di domanda d’ascolto politico del singolo elettore (che potrebbe anche ridursi ad un assemblearismo protestatario e impotente) l’avvertire che il rapporto col territorio d’elezione non va inteso in senso esclusivamente fisico, ma va piuttosto valutato come un aspetto dell’inevitabile passaggio dall’assordamento dei talk show all’attenzione per sistematiche lezioni di politica. Oltre tutto in una fase in cui le lettura corrente quasi esclude la saggistica politica o letteraria ed eleva i comici a esponenti della cultura comprensibile.

Berlusconi scopre il valore dello studio della politica; l’indispensabilità delle scuole politiche collegate a fondazioni culturali; dell’attenzione per un mondo giovanile naturalmente ambizioso che, però, è trascurato dagli anziani, mentre i meno giovani sarebbero lieti di affermare la politica come qualcosa di comune a tutte le generazioni, non discriminando né vecchi né giovani.

La strada prescelta – specie nel videointervento a Civitanova Marche – indica un Berlusconi vigile e presbite che ha fiducia nelle ultime leve ma non respinge le esperienze valide degli anziani. Ciò ha irritato, piccoli, vecchi, suoi adoratori acritici. Capita, a chi è generoso. Intanto, però, l’uomo di Arcore (che spera ardentemente di tornare alla politica attiva e non solo attraverso le pur positive relazioni del Nazareno) ha fornito ulteriori elementi di riflessione a studiosi, accademici, politologi e politici: costringendoli ad abbandonare le vecchie critiche su presunti partiti di plastica, e obbligandoli ad analizzare la realtà italiana con meno formule astratte e con più senso pratico e volontà riformatrice: specie d’ordine costituzionale.

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