Mentre i funzionari delle Nazioni Unite e gli inviati occidentali fanno la spola avanti e indietro, cercando di mettere insieme un processo di negoziati abbastanza robusto da risolvere il conflitto libico, la Corte Suprema del Nord Africa, l’ultima istituzione statale con una parvenza di neutralità e credibilità, ha emesso un verdetto che dichiara invalido il Parlamento eletto e riconosciuto a livello internazionale. La mossa è stata probabilmente fatta in un contesto altamente esasperato, dato che la corte si trova a Tripoli, dove Misurata e le milizie filo-islamiche hanno preso il controllo e hanno messo in piedi un Parlamento e un governo rivali.
Questo ultimo sviluppo pone un dilemma importante per i diplomatici: la comunità internazionale dovrebbe sfidare una sentenza della Corte e continuare ad appoggiare le Camera dei Rappresentanti? Come dovrebbero reagire gli ambasciatori se non vogliono compromettere le possibilità, per quanto minime, per i negoziati?
Fino a pochi giorni fa, gli osservatori avevano creduto che la Corte stesse solo esaminando la costituzionalità del luogo in cui la Camera teneva le sue sedute, in auto- esilio a Tobruk piuttosto che nella sua sede ufficiale a Bengasi. Ma la Corte è andata assai oltre; respingendo la costituzionalità del Comitato di febbraio che ha redatto la roadmap che porterà al voto parlamentare nel mese di giugno, la Corte ha di fatto annullato l’elezione della Camera dei Rappresentanti.
Ciò influisce negativamente sul margine per i negoziati, aumentando in modo significativo i punti di controversia e foraggiando i poteri che sono a Tripoli, che ora citano la “legge della terra” per giustificare la loro posizione.
Da un lato, la decisione del tribunale complica seriamente le questioni perché massimizza le possibilità di ulteriori radicalizzazioni dei due già radicati schieramenti. Per i libici, questo potrebbe incrementare la spirale verso il basso del Paese e la narrative di due paesi divisi.
Mentre l’Operazione Libya Dawn consolida il suo controllo su Tripoli, la Camera e il Primo Ministro Abdullah al-Thinni restano posizionati a est, con poco controllo di là di Tobruk, e con gli scontri di rabbia tra i sostenitori armati di ogni parte a Bengasi. Con la Corte Suprema che si è pronunciata, sia pure sotto costrizione, gli enti statali che hanno cercato di mantenere una certa neutralità, ad esempio la National Oil Corporation e la Banca centrale, verranno messi sotto pressione per schierarsi e manifestare apertamente la loro lealtà a una amministrazione o l’altra.
Per la comunità internazionale, la questione è questa: se continuano a sostenere l’obiettivo di arrivare a una soluzione pacifica, come faranno a ottenere la fiducia con l’opposizione senza abbandonare lo schieramento che hanno finora sostenuto?
D’altra parte, è emersa la possibilità di un breve ma indispensabile momento opportuno – un momento che mediatori dovrebbero cogliere dato che esauriscono ogni sforzo per allontanare la Libia da una totale guerra civile. Con la sua decisione, per quanto possa essere contestata, la Corte ha indebolito il governo di Tobruk e, a sua volta, ha fornito una vittoria per i sostenitori di Misurata e dei loro alleati a Tripoli.
La sentenza ha livellato il campo di gioco tra i blocchi politici in competizione, controbilanciando il sostegno internazionale propenso verso Tobruk. Nel tentativo di rafforzare i moderati all’interno degli schieramenti e ridurre al minimo la polarizzazione, i mediatori internazionali dovrebbero segnalare la loro disponibilità a negoziare con le fazioni opposte , a condizione che si impegnino a una risoluzione pacifica e inclusiva. Nonostante le circostanze nella quali ogni parte ha acquisito legittimità, le tensioni si possono aggravare solo se la comunità internazionale rafforza il suo appoggio a Tobruk.
Per colmare il divario, gli attori internazionali devono almeno riconoscere la decisione della Corte Suprema. Questo riconoscimento non comporta l’abbandono di Tobruk; piuttosto crea l’opportunità di entrare in contatto con Tripoli. Con una vittoria in tasca, il governo di matrice islamica si accorgerebbe di essere alla pari, e questa nuova dinamica di potere può renderlo più disponibile a negoziare.
La comunità internazionale deve assicurare che agisca come un’unità coesiva. Le parti, pur condividendo il riconoscimento della Camera di Tobruk, si sono allontanate con le loro strategie per una risoluzione stabile.
Gli Stati occidentali hanno rilasciato dichiarazioni congiunte che condannano la violenza e che spingono per i negoziati, mentre gli attori regionali sono stati più propensi a intervenire direttamente, prendendo parte ad attacchi aerei contro le roccaforti islamiste, secondo quanto dicono le fonti. Nel frattempo, la missione di assistenza delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha pubblicato una risposta alla sentenza, dicendo che “la studierà accuratamente”, invitando tutte le parti “a mettere l’interesse nazionale al di sopra di ogni altra considerazione,” e sottolineando il suo impegno a “consultarsi con tutte le principali parti interessate sul modo di procedere”.
Come primo passo, il dilemma del diplomatico è quello di portare la comunità internazionale a un accordo circa ciò che è necessario in Libia: il dialogo come mezzo pacifico per risolvere quello che, alla radice, è un conflitto politico. Per Washington, saranno necessari difficili negoziati con alcuni dei più stretti alleati per concordare le misure più appropriate, nell’interesse reciproco della Libia e della comunità internazionale. Report che suggeriscono che gli Stati membri possano utilizzare sanzioni unilaterali per fare pressione sui proxy in lotta sono promettenti; si tratta di un forte segnale di volontà di fare ciò che è necessario per creare un ambiente favorevole per gli stessi discorsi che sono stati dichiarati come l’unico mezzo per risolvere la crisi in Libia.
In ultima analisi, solo i libici possono garantire che i sacrifici fatti con la rivoluzione del 2011 non siano vani e siano stati fatti per preservare un Paese unificato, sovrano e stabile. Se i diplomatici vogliono aiutare, non devono lasciare nulla di intentato. Con la Libia a un bivio, dovranno agire rapidamente e in maniera aggressiva per trasformare una decisione della Corte in una svolta decisiva per allontanarsi dal disastro.
Karim Mezran è Senior Fellow presso il Rafik Hariri Center for the Middle East di Washington DC
Lara Talverdian è assistant director for research presso il Rafik Hariri Center for the Middle East di Washington DC
(analisi originale pubblicata in inglese sul sito dell’Atlantic Council. Traduzione a cura di Laura Carbonetti. Credits foto: Associated Press)