Perché è oggi d’attualità il libro Gustav Mahler Il Canto della Terra – All’Ombra degli Alberi della musicologa Adele Boghetich (Zecchini Editore 2014 pp.120 , € 15)? E’ un volume smilzo che è bene non sia usciti nel 2010-2011 quando le librerie sono state invase da testi sul direttore d’orchestra, organizzatore musicale e soprattutto compositore boemo in occasione dei centocinquanta anni dalla nascita e dai cento anni della morte, al termine di una breve e tormentata avventura umana.
Allora si sarebbe perso o sarebbe stato schiacciato dalle circa mille pagine della raccolta di saggi ‘Gustav Mahler- Il Mio Tempo Verrà’ curata da Gastón Fournier-Facio. Mi sono accostato un paio di volte a Mahler non con recensioni, ma con brevi saggi su bimestrali; nel 2004 su Ideazione e nel 2011 su Charta-minuta. Sto pensando di tornare sull’argomento una terza vola su La Nuova Antologia. La prima volta l’occasione era l’integrale di Mahler all’Accademia di Santa Cecilia. La seconda volta era la commemorazione del cento cinquantenario e del centenario. Ora l’attualità di Mahler era il presentimento del declino dell’Europa all’approssimarsi della Prima Guerra Mondiale. Un presentimento ancora più forte dei moniti venuti in questi ultimi mesi da Fondo Monetario, Banca Mondiale e OCSE e in questi giorni dal G20 tenuto a Brisbane. Adele Boghetich è al quarto saggio su Mahler . Pure i due precedenti sono stati dedicati alieder.
“Il canto della terra”, la cui prima esecuzione tuttavia avvenne il 20 Novembre 1911, pochi mesi dopo la morte del compositore che non era riuscito a completare la decima sinfonia, era considerato il suo addio alla vita. Nell’immaginario del pubblico meno accorto, Mahler condivide, con Wagner, una leggenda: quella di essere stato un compositore fluviale, con partiture di lunghezza smisurata e organici orchestrali straripanti. Al pari di Wagner, Mahler compose relativamente poche ore di musica. Wagner rivoluzionò il teatro in musica, ove non la musica occidentale in tutti i suoi canoni, con 13 drammi (e pochissime composizioni orchestrali).
Mahler ci ha lasciato appena dieci sinfonie (di cui l’ultima incompiuta) e 43 lieder (uno di meno di quelli contenuti nel solo ciclo del “libro dei lieder spagnoli” di Hugo Wolf) un numero comunque modesto rispetto a quelli di Schubert, Schumann e Brahms). Mahler, tuttavia, rivoluzionò la sinfonia togliendola da quelle strutture formali che erano rimaste sostanzialmente immutata da Haydn a Beethoven, aggiungendovi voci e cori e fondendola con il lied (si pensi al quarto tempo della seconda, della terza e della quarta sinfonia, nonché al quinto della terza). Nella specifica forma del lied, poi, innovò la struttura giustapponendo la voce non ad un pianoforte od ad un piccolo organico ma al grande (anzi enorme) organico orchestrale post-wagneriane tipico delle sue sinfonie. C’è un’altra dimensione: nei leider mahleriani è presente quella “musica a programma” (i “poemi sinfonici” nel lessico italiano) tipici della musica tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento che in molte polemiche accademiche e giornalistiche, Mahler affermava di respingere in toto.
Questi aspetti che potrebbero sembrare tecnici sottoindentono una dimensione spesso trascurata: i lieder sono, ancor più delle sinfonie, espressione della crisi della cultura europea in generale, e di quella Mittleuropea in particolare, in una fase a cavallo tra i due secoli. Nei lieder- dal giovanile “canto del lamento” all’estremo “canto della terra”- Mahler ricorre alla fiaba (medioevale, rinascimentale, cinese) per meditare su come egli stesso percepisce un cambiamento che avverte essere epocale ma del cui futuro non afferra i contorni (per avendo piena consapevolezza di quelli del passato e del presente). Forse proprio a ragione di questo aspetto, i lieder di Mahler sono stati relativamente poco “popolari” (almeno in Italia) per decenni, mentre adesso (in una nuova fase di transizione tra due secoli) attirano vasto pubblico, soprattutto di giovani.
Negli ultimi anni a Roma, si sono potuti ascoltare, fianco a fianco, il “canto del viandante” (o, in traduzione letterale, di “uno che va”) nella stagione dei concerti dell’Accademia di Santa Cecilia e “il canto della terra” (in quelle sia dell’Accademia di Santa Cecilia sia dell’Orchestra di Roma e del Lazio, l’Orl, sia dell’Orchestra sinfonica di Roma). Il “canto del viandante” è il risultato di un’infelice passione del compositore per una cantante. E’ un lavoro nato di getto quando il compositore era tra i 24 ed i 25 anni e si stava appena accostando alle grandi cattedrali sinfoniche. I lieder, messi in musica da Mahler su propri testi, non sono il ritrattato di un pallido innamorato schubertiano; in essi si avverte un effetto di straniamento doloroso, “fin de siècle” invece che byroniano. I colori sono già quasi quelli dell’espressionismo, più che quelli del tardo romanticismo.
.Il più conosciuto “canto della terra” è uno struggente commiato dal mondo, in chiave di trovata serenità Zen, opera di cui poco prima di morire il grande direttore d’orchestra Jascha Horenstein disse “una delle cose più tristi di lasciare il mondo è il non potere più ascoltare il Das Lied von der Erde”.
Das Lied von der Erde non richiede presentazione . Ed il libro di Adele Boghetich è un’utilissima preparazione all’ascolto. Non entra in considerazioni geopolitiche o tecnico-musicali ma scava con accuratezza non solo le fonti (dal Werther di Goethe ai canti di Neitzsche ) ma anche i ‘colori’ della commozione: sono – dimostra- quelli dell’autunno pieni di passaggi onirici e surreali. E’ l’autunno della vita quale percepito dall’autore che sapeva di essere gravemente malato? O l’autunno del mondo tardo-romantico a cavallo tra fine ottocento ed inizio novecento? Oppure l’autunno dell’Europa che inizio con la Grande Guerra e precedette il lungo inverno del declino del continente vecchio di cui non si vede una luce alla fine del tunnel.