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Cosa cambia e cosa no dopo il G20 di Brisbane

Abbiamo imparato a non aspettarci dai summit del G20 cambiamenti significativi e di importanza sistemica per l’economia soprattutto per la finanza. Anche da Brisbane in Australia, purtroppo, è arrivato lo stesso messaggio. Si ammette però che «l’economia globale è vulnerabile a futuri choc, resta la fragilità finanziaria e i rischi esistenti sono esacerbati da tensioni geopolitiche». Tuttavia dal comunicato finale del meeting di novembre emergono alcuni passaggi interessanti. In un mondo dove i Paesi del Brics risultano essere le uniche locomotive della ripresa è intollerabile che dal 2010 gli Stati Uniti continuino a bloccare la riforma delle quote di controllo del Fondo Monetario Internazionale e quindi quella della governance mondiale.

Per questa ragione Brisbane ha dato tempo fino alla fine del 2014 per ratificare quanto concordato, dopo di che si dovrebbe procedere alla realizzazione dei nuovi assetti. In una economia globale ancora dominata dai paradisi fiscali e da «sistemi bancari ombra», che permettono a tutte le grandi multinazionali private di scegliersi i posti fiscalmente più convenienti per la domiciliazione delle proprie attività, il G20 afferma di voler lavorare unitariamente per una riforma del sistema fiscale internazionale. In futuro «i profitti dovrebbero essere tassati dove operano le attività economiche che li producono e dove il valore viene creato». Si tratta di una dichiarazione di buona volontà, come una delle tante registrate in passato, attesa però alla prova dei fatti.

Il passo avanti più significativo ci sembra sia il riconoscimento della mancanza di investimenti globali nelle infrastrutture che riteniamo sia il vero freno per la ripresa. Perciò il G20 promuove la «Global Infrastructure Initiative» (GII), un programma pluriennale di grandi lavori per migliorare la qualità degli investimenti infrastrutturali pubblici e privati. Si consideri che la necessità mondiale di infrastrutture è stimata in 57 trilioni di dollari e gli investimenti richiesti potrebbero essere di 3 trilioni di dollari all’anno. A Brisbane si è deciso di aggiornare i canali di informazione sui vari programmi e progetti e di creare nuovi meccanismi di finanziamento di lungo termine per coinvolgere sia gli investitori istituzionali che le reti di PMI.

Secondo noi è la strada maestra per indirizzare i flussi finanziari verso l’economia reale, a partire dalle infrastrutture di base, e toglierli alla speculazione finanziaria che, come è noto, opera nel breve periodo. E quindi i Paesi del G20 hanno deciso anche di creare un «Global Infrastructure Hub», una piattaforma di coordinamento tra i governi, il settore privato, le banche di sviluppo e le altre organizzazioni internazionali per realizzare i grandi lavori e le grandi infrastrutture nel mondo, nonché gli investimenti nei settori delle Pmi.

Il succitato Hub opererà da Sidney con un mandato di 4 anni ed un budget di 10-15 milioni di dollari all’anno che saranno sottoscritti volontariamente da tutti i Paesi, anche non del G20, da organizzazioni internazionali e da privati. Sarà una «centrale» privata ed indipendente, controllata da un consiglio direttivo di fatto in mano ai rappresentanti del cosiddetto mondo avanzato. In ogni caso, se dovesse funzionare in modo corretto, le sue potenzialità non sarebbero irrilevanti.

Nel contesto il G20 di Brisbane ha anche avallato la recente iniziativa della Banca Mondiale per un «Global Infrastructure Facility», di fatto un progetto molto simile, se non un doppione dell’Hub menzionato. Sarebbe opportuno prima di tutto chiarire se la GII del G20, visto che avrà una strutturazione molto privata, sia la stessa «Global Infrastructure Initiative» lanciata due anni fa dalla McKinsey & Company insieme ad altre entità private americane e internazionali. In merito quindi sorgono legittimi dubbi sulle vere intenzioni operative e degli Stati Uniti e dell’Ue. Mentre si ricordi che, finora, sono stati i Paesi del Brics ad avviare a realizzazione in modo concreto e indipendente una serie di importanti infrastrutture. Si tratta dei grandi corridoi di sviluppo terrestre, ma anche marittimo, avviati dalla Cina, dalla Russia, dall’India. Il Brasile, per altro verso, sta lavorando per una moderna infrastrutturazione dell’interno continente latino americano. Purtroppo la grande sfida rimane ancora l’Africa.

Per finanziare i vari progetti, i Brics hanno creato una Banca di Sviluppo con 100 miliardi di dollari di capitale. Inoltre stanno sorgendo anche delle banche di sviluppo regionale come la Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB). Non vorremmo che la Facility della Banca Mondiale ed in particolare la GII fossero, più che promotrici di iniziative, degli strumenti per «incapsulare» le attività dei Brics per un controllo più stringente da parte del cosiddetto mondo occidentale. Sarebbe di fatto un sabotaggio e un atto assai grave. Occorre una grande consapevolezza delle necessità globali ed il coraggio dei veri governanti «visionari» per battere le logiche egoistiche del passato e guardare all’universo mondo in un’ottica unitaria di un vero sviluppo diffuso e pacifico.


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