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Papa Francesco e gli ostacoli alla nuova evangelizzazione in Cina

Il 28 ottobre 1926 papa Pio XI (1922-1939) ordinava nella Basilica di San Pietro i primi sei vescovi cinesi dell’età contemporanea. Iniziava, così, per la gerarchia ordinaria della Chiesa in Cina, l’anno zero, dopo un lunghissimo periodo di attesa e preparazione che aveva creato non poche difficoltà e contrasti. Il 1° ottobre 1949, però, con la fondazione della “Repubblica Popolare Cinese” maoista, ricominciano i problemi per la vita della Chiesa in Cina.

LA NOMINA VESCOVI DELL’“UFFICIO AFFARI RELIGIOSI”

Sono per esempio sessant’anni che la Santa Sede è obbligata a dover scegliere fra candidati all’episcopato proposti dall’Ufficio affari religiosi, il cui nome attuale è cambiato in Amministrazione statale per gli affari religiosi (sigla in inglese, Sara) ma, di fatto, la sostanza non cambia, perché si tratta di una organizzazione emanazione diretta del Partito Comunista Cinese.

C’è poi l’ulteriore difficoltà della sopravvivenza della c.d. Associazione patriottica (Ap), una “eredità storica” del maoismo, voluta dallo stesso Mao Tse-tung (1893-1976) e fondata nell’agosto 1958, per controllare la Chiesa cattolica, dopo aver espulso tutti i missionari stranieri e aver imprigionato molti vescovi e sacerdoti che volevano conservare il legame spirituale con il papa. Come ha rilevato padre Bernardo Cervellera, missionario del Pontificio Istituto Missioni Estere, «Tutte le modernizzazioni e cambiamenti della Cina non hanno mai intaccato questa istituzione [l’Ap] che controlla e gestisce la vita delle comunità cristiane. I suoi statuti e ideali rimangono quelli di edificare una Chiesa indipendente dalla Santa Sede ed “aggiustare” la Chiesa al socialismo (ossia sottometterla al Partito)» (Bernardo Cervellera, Global Times: Pechino apre al Vaticano sulla scelta comune sui vescovi. Ma difende l’Associazione patriottica, in AsiaNews, 21/11/2014).

In quanto tale, essa è «inconciliabile con la dottrina cattolica», come recita la Lettera di Benedetto XVI cattolici cinesi, del 27 maggio 2007 (al n. 7) e per questo – in un futuro rapporto diplomatico fra Cina e Santa Sede – andrebbe smantellata.

ASSOCIAZIONE “PATRIOTTICA” DEI CATTOLICI CINESI?

Dall’affermazione del regima maoista, gli episodi di negata libertà religiosa e di ostacoli sempre nuovi posti all’attività di evangelizzazione (o ri-evangelizzazione) dell’immenso Paese asiatico non cessano. Si registrano, infatti, quasi ogni giorno, imprigionamenti arbitrari e, di fatto, l’impossibilità di predicare la fede, oltre che naturalmente l’impedita o controllata nomina di nuovi vescovi.

Papa Benedetto XVI auspicava un “accordo col governo” sulle nomine dei vescovi e, secondo P. Cervellera, «Pechino sarebbe pronta a concedere al Vaticano una voce e una scelta comune sulle nomine episcopali. Ma la Cina sarebbe irremovibile sulla funzione dell’Associazione patriottica, l’organismo di controllo delle attività della Chiesa, che risponde al Partito comunista» (art. cit.).

Grazie al controllo delle attività e dell’economia della Chiesa in Cina, i vari segretari dell’Ap, per decenni, hanno defraudato le diocesi di terreni, case, denaro, impossessandosene con facilità.  «Si calcola che – sono sempre parole del missionario del PIME – sotto il manto del controllo comunista alla Chiesa, i dirigenti locali abbiano intascato proventi per affari che coinvolgono beni del valore di 130 miliardi di yuan (circa 13 miliardi di euro)» (art. cit.).

In effetti la Santa Sede non ha mai nascosto di essere disponibile a trovare un modo concordato per i candidati all’episcopato, purché l’ultima parola spetti al papa. Lo stesso Benedetto XVI, nella Lettera citata, al n. 9, auspica «un accordo con il governo» su scelta, nomina, riconoscimento da parte delle autorità civili, ma spiega anche che «la nomina di Pastori» è «intesa, anche in documenti internazionali, come un elemento costitutivo del pieno esercizio del diritto alla libertà religiosa». Inoltre, il papa, concedendo il mandato episcopale, esercita una «autorità spirituale», che non va intesa come «autorità politica, che si intromette indebitamente negli affari interni di uno Stato».

LE ORIGINI DELLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE IN CINA

Questi temi, in termini diversi sebbene nella sostanza non troppo distanti, sono sempre stati all’origine del rifiuto o dell’ostilità alla Chiesa ed alla penetrazione popolare della fede cattolica da parte delle classi dirigenti cinesi. Don Carlo Pioppi, professore di Storia contemporanea della Chiesa nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università della Santa Croce e vicedirettore dell’Istituto Storico San Josemaría Escrivá, nel saggio Pio XI e l’ordinazione dei primi vescovi cinesi [in Franco Cajani (a cura di), Pio XI e il suo tempo, Atti del Convegno di Desio, 7-9 Febbraio 2014, Centro Internazionale di Studi e Documentazione Pio XI, Desio 2014, pp. 303-349], ha descritto ad esempio il grande sforzo di Papa Achille Ratti (1857-1939) alla Nuova Evangelizzazione del popolo cinese.

Innanzitutto, come rileva il prof. Pioppi, il messaggio religioso di Gesù di Nazareth risale in Cina al sec. VI, «quando vi fu diffuso da mercanti e poi da monaci della cristianità siro-orientale. Di questa esperienza, esauritasi intorno all’anno 1000, restano tracce letterarie ed archeologiche, tra le quali la più conosciuta è la Stele di Xian» (p. 303).

La seconda tappa della storia del cristianesimo nel “Celeste Impero” s’inaugurò circa tre secoli dopo: la creazione dell’Impero Mongolo favorì la costituzione di una continuità territoriale dall’Europa all’Estremo Oriente attraverso le regioni dell’Asia Centrale e riaprì al mondo europeo la Via della Seta, che fu presto percorsa dai missionari francescani, con missioni che ebbero un discreto successo, sanzionato anche con la costituzione dell’Arcidiocesi di Pechino nel 1307.

Dopo la persecuzione xenofoba dei primi imperatori della Dinastia Ming, meno di due secoli dopo la fede cristiana si affacciò di nuovo ai confini della Cina, sull’onda dell’espansione coloniale portoghese, questa volta per non abbandonare più il grande paese asiatico. Ne furono protagonisti gli ordini dei gesuiti, dei francescani (nei loro diversi rami), dei domenicani e dei lazzaristi, e l’allora Istituto delle Missioni Estere di Parigi (oggi PIME), nonché, a partire dal 1622, la Congregazione detta “Propaganda Fide”. Il primo vescovo cinese fu quindi Gregorio Luo Wenzao (1616–1691), ordinato nel 1685, sebbene l’esperienza di un vescovo autoctono, precisa Pioppi, «non fu ripetuta e, dunque, rimase un caso isolato: le ordinazioni del 1926 possono quindi essere giustamente considerate le prime, nel senso che ebbero un seguito che perdura chiaramente sino ai giorni nostri» (p. 304).

Nel 1926, quindi, l’ordinazione dei vescovi cinesi diede avvio ad un movimento che nulla avrebbe più arrestato: nello stesso pontificato di Pio XI, di lì a poco, avrebbero avuto luogo le ordinazioni dei primi vescovi autoctoni in Giappone, Vietnam, Corea, Sri Lanka ed Egitto. «Alla morte di papa Ratti – riporta lo storico della Pontificia Università della Santa Croce -, ben 40 circoscrizioni ecclesiastiche in Asia erano affidate al clero locale in terra di missione» (p. 349).

60 ANNI DI ISOLAMENTO E PERSECUZIONE DELLA CHIESA IN CINA

La “lunga marcia” (per riprendere un termine maoista), intrapresa fin dall’inizio dello scorso secolo dalla Santa Sede per dotare la compagine ecclesiale in Asia di una struttura autoctona, almeno prima dell’avvento del comunismo in Cina (come altrove) sembra stia ancora oggi dando i suoi risultati. Infatti, come afferma in conclusione del suo saggio Don Pioppi, «dopo più di 60 anni di isolamento e persecuzione, la Chiesa vi continua a esistere e sperimentare una relativa stabilità, e soprattutto si presenta come una comunità veramente cinese» (p. 349).

I protagonisti della storia delle ordinazioni dei primi vescovi cinesi sono senz’altro tanti nell’ambito delle missioni e della diplomazia vaticana. Al tempo stesso, come emerge dallo studio di Pioppi, essenziali risultano alla luce della storia i puntuali ed importantissimi interventi di Pio XI, dalla «decisione di inviare un delegato apostolico nel 1922; la creazione delle prime due prefetture apostoliche “indigene” nel 1923 e 1924; la promozione e l’incoraggiamento del Concilio Plenario Cinese del 1924; l’udienza del 4 febbraio 1926; e, nello stesso anno: l’enciclica Rerum Ecclesiae; la decisione di nominare sei vicari apostolici cinesi con carattere episcopale e la creazione dei corrispondenti vicariati; la scelta di ordinare lui stesso i sei candidati nella Basilica di San Pietro; la lettera ai vicari apostolici della Cina Ab ipsis; infine la cerimonia di ordinazione. Per tutto ciò Pio XI va considerato a pieno titolo uno dei personaggi principali di questa storia» (ibidem.).

RAPPORTI DI BERGOGLIO CON LA CINA

Il ruolo fondamentale avuto da un Papa, Achille Ratti, nella storia della Chiesa nel Sol Levante, non può che far ampliare lo sguardo all’oggi. Non sono pochi, infatti, coloro che coltivano la speranza che, almeno parte delle difficoltà che rimangono fra la Santa Sede e la Cina comunista, possano essere avviate a soluzione dallo slancio apostolico e missionario dell’attuale Pontefice. Papa Bergoglio, a questo proposito, nell’intervista rilasciata alla fine del primo anno del suo pontificato a Ferruccio De Bortoli, direttore del Corriere della Sera, si è soffermato a parlare dei suoi rapporti con la Cina. Francesco, in particolare, ha raccontato di uno scambio di lettere col presidente cinese Xi Jinping dopo la sua elezione, aggiungendo: «È un popolo grande al quale voglio molto bene» (Francesco: “vi racconto il mio primo anno da Papa”, in Il Corriere della sera, 5 marzo 2014, p. 2).

Al Pontefice, poi, in Piazza San Pietro, ricevendo all’Udienza generale le migliaia di giovani partecipanti all’ultima edizione dell’incontro internazionale degli universitari Univ, sono state recapitate molte lettere scritte da studenti cinesi (cfr. Papa Francesco riceve centinaia di lettere scritte da anziani e bambini consegnate dagli studenti dell’Univ, in Zenit, 16 aprile 2014). Per non parlare del valore altamente simbolico della sua decisione di far portare, nella prima Via Crucis presieduta al Colosseo, il legno della Croce, oltre che al Card. Agostino Vallini, a due seminaristi provenienti proprio dalla Cina (cfr. Papa Francesco al termine della Via Crucis al Colosseo, in Zenit, 29 marzo 2013). «Papa Francesco è un interlocutore naturale ed opportuno» per Pechino, ha aggiunto da ultimo anche Romano Prodi, intervistato il 18 agosto scorso dal Corriere della Sera.
Parlando dell’apertura di Papa Bergoglio alla Cina, l’ex premier ha quindi spiegato: «Questo Papa viene dall’America latina e in Cina non è più percepito come espressione del mondo occidentale né come personalità eurocentrica. Francesco, insomma, viene considerato dai cinesi […] non come un esponente dell’Occidente o di un potere occidentale, ma come una personalità universale».

Gli “ingredienti”, quindi, ci sono tutti. Non manca, quindi, che attendere, e vedere quale e quando un’altra “sorpresa”, anche per questo “continente lontano”, ha in serbo il grande e fecondo pontificato di Papa Francesco.



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