Dicembre era il mese delle festività, dei rendiconti, delle fervorose attese del ritorno del Bambinello nei Presepi e delle speranze di un Anno veramente Nuovo e Felice. Questo dicembre è diventato altro: un mese sciroccoso di scioperi provocati per prolungare le vacanze del ponte dell’Immacolata, annessi a mobilitazioni di piazza che rivendicano diritti inappagati e cercano di ottenerli tentando assalti a Palazzo Madama, mentre le tredicesime sono già impegnate per regolare i conti col fisco e deludere i bambini che s’aspetterebbero un dono per il Santo Natale. Questo ambiguo dicembre è decisamente il mese del presidente della repubblica e delle grandi piccole manovre di gruppi e sottogruppi politici per guadagnarsi una posizione di favore per scegliersi un successore di Giorgio Napolitano «amico», mentre Roma s’è scoperta capitale del malaffare, della corruttela sfacciata e trasversale, degli intrallazzi sui migranti più lucrosi degli spacci di droga e delle reti di prostituzione.
Con una politica cinica, irresponsabile, melmostosa, Napolitano, l’ultimo dell’anno, rivolgerà il suo tradizionale messaggio televisivo agli italiani. Ribadendo che, concluso il semestre italiano in Europa, anche il suo impegno sul Colle sarà scaduto; e non ci sarà più ragione di continuare la narrazione di un’Italia che doveva essere in prossimità dell’uscita dal tunnel della crisi economica mentre, invece, siamo tornati in piena recessione; anzi, di stagnazione progressiva.
Cosa fanno i nostri politici per evitare un siffatto destino? Gareggiano nell’avanzare candidature di noti trombati; di femmine in disarmo ma pronte ad offrire il proprio petto alla patria; di rottamatori che vogliono finalmente cancellare dai teleschermi i figuri rottamati; di rottamandi che aprono giochini sottobanco con aspiranti primattori di opposta tendenza, così creando alleanze trasversali fra contrapposti ma che possono trasformarsi in movimenti regionali per scardinare lo strapotere dei toscani imperanti. I media sono zeppi di lombardo-piemontesi che vorrebbero proseguire sulla scia dell’espansionismo di cui sono esperti e fruitori dal XVIII secolo, dediti a raccordarsi tutti, assieme ai toscani meridionali, per affrancarsi dagli odiati romani, che bene non stanno con questa dicembrina storia della cupolona dei magnaccioni di destra e di sinistra uniti per fare fessi tutti gli altri sudditi. Così che, alla conta delle conti, si vanno organizzando alleanze territoriali tra vecchi vendicativi e giovani ambiziosi che disfano di notte ciò che, di giorno, tessono, dicono, per rifare l’Italia.
Ormai tutto è ridotto ad un agitazionismo di misteriosità o di amicizie territoriali – non più soltanto nord contro sud, ma sottospecie emiliane contro le romagnole; di umbri contro laziali; di abruzzesi contro i campani; di pugliesi garganici contro pugliesi salentini; di ciascuna delle tre Calabrie in feroce contrapposizione fra loro; di siciliani dell’est e di isolani dell’ovest; di sardi, aostani e bolzanini che si sentono speciali a prescindere. Insomma una babele di trasversalità che non sono neppure giustificabili come empiti federabili. La disunità è generale. I tentativi unitari si attende che sorgano da una grande fiammata purificatrice, di cui il voto per il tredicesimo presidente repubblicano dovrebbe costituire l’occasione ineludibile.
E la politica? Quella è ormai impresa rimessa ai furbi e agli sperperatori, al contempo corrotti e corruttori. Al più è roba da nostalgia. Con la quale non si cambia verso all’Italia: semmai si torna indietro di secoli. Purtroppo, è ciò che sta emergendo in questo dicembre sciroccoso, scandaloso, angoscioso, che scorre quasi si andasse contro natura, verso una perdizione irrefrenabile.