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Ior, le parole di Pell e la domanda di Gotti Tedeschi

Sorpresa, le casse vaticane sono belle piene. Altro che fallimento imminente, crisi e depressione. Il cardinale australiano George Pell, ranger per l’Economia chiamato poco meno di un anno fa a Roma da Francesco per rimettere in sesto le finanze squassate da Vatileaks e dintorni, ha scritto un lungo articolo per il Catholic Herald, settimanale britannico autorevole.

LE PAROLE DI PELL

“Alcune centinaia di milioni di euro erano nascosti in particolari conti settoriali e non apparivano nei fogli di bilancio”, ha detto Pell. Non proprio bruscolini, al punto che il cardinale arriva a dire che la situazione è ben più florida di quanto si potesse pensare. I soldi sono saltati fuori grazie allo screening a tappeto avviato da qualche mese, operazione che ha rilevato come qualche settore della curia fosse avvezza a una certa libertà di movimento nel fare economia interna. “Diversi dicasteri e specialmente la Segreteria di Stato hanno goduto e difeso una sana indipendenza”, dice un po’ diplomaticamente Pell: “I problemi erano tenuti in casa, come si usava nella maggior parte delle istituzioni, laiche e religiose, fino a poco tempo fa. Pochissimi erano tentati di dire al mondo esterno che cosa stava accadendo”.

CERCASI TRASPARENZA DISPERATAMENTE 

Tranne in un caso, e cioè quando “avevano bisogno di un aiuto supplementare”. In pratica, il ranger ammette candidamente che la trasparenza, in quelle stanze a dir poco ovattate, era cosa sconosciuta. Ricorda, Pell, che affollavano in tempi passati i corridoi dei palazzi vaticani personaggi di dubbia moralità, e questo perché le regole erano poche e si “ignoravano i principi contabili moderni”. Ora, invece, la musica cambia: la parola d’ordine è trasparenza (e difatti la lista di chi vuole metaforicamente lo scalpo di Pell in Vaticano è ogni giorno più lunga).

LO IOR, BERTONE E RATZINGER

Il cardinale australiano apre poi una parentesi sugli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI, quelli dominati dallo scontro tra il segretario di Stato Tarcisio Bertone e altri porporati competenti in materia finanziaria; scontro che portò all’inaudito licenziamento in tronco con tanto di infamia mediatica per l’allora presidente dello Ior, Ettore Gotti Tedeschi, accusato di essere mitomane, pazzo nonché il corvo che faceva uscire dall’appartamento papale i documenti riservati di Ratzinger. Tutte accuse poi cadute, con tanto di sentenze della magistratura e dell’ordine dei medici che ha sconfessato la cosiddetta diagnosi a distanza dello stato di salute mentale di Gotti Tedeschi effettuata dal dottore psicoterapeuta e ipnoterapeuta Pietro Lasalvia. Pell dice che quando si tornerà a quegli anni “troveremo che i problemi erano tornati alla banca vaticana. Il presidente era stato licenziato dal consiglio laico e una lotta di potere in Vaticano ha portato alla fuoriuscita regolare di informazioni”.

LE PAROLE DI PELL E LA DOMANDA DI GOTTI TEDESCHI 

Benissimo, sintesi perfetta. Ma il cardinale Pell “sa quale riforma stava facendo Benedetto XVI e perché è stata bloccata e da chi?”, si chiede ora Gotti Tedeschi parlando con Formiche.net. Già, perché poi bisognerebbe indagare il motivo reale della cacciata e tutti i movimenti che in quei mesi si videro attorno allo Ior. Comprese le lotte tra la Segreteria di stato e l’Autorità di informazione finanziaria allora guidata dal cardinale Attilio Nicora. E comprese, anche, le diatrobe tra Gotti Tedeschi e Bertone su un affare che qualche mese fa fece impallidire più d’uno oltretevere: Lux Vide.

IL CASO LUX VIDE

Rinfreschiamo la memoria: “Lo Ior avrebbe sottoscritto un’obbligazione convertibile pari a un ammontare di 15 milioni di euro per la società fondata da Ettore Bernabei”. Il Fatto, mesi fa, scrisse che le mail sequestrate dai carabinieri a Gotti Tedeschi dimostrarono le pressioni di Tarcisio Bertone “e del suo consigliere più ascoltato, Marco Simeon, allora direttore di Rai Vaticano, per convincere Ettore Gotti Tedeschi a comprare per 20 milioni una quota del 20-25 per cento della Lux Vide”. Solo che l’ex presidente dello Ior, in un’altra mail scovata la scorsa primavera, spiegava che “il valore reale di mercato sarebbe molto più basso”. Il consiglio di Gotti Tedeschi era dunque quello di lasciar perdere. Il risultato, però, fu un altro. E Gotti Tedeschi fu sfrattato (solo un caso?”. Nonostante anche lui mirasse a portare la finanza vaticana alla trasparenza, in quel “Ventunesimo secolo” di cui parla ora Pell.


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