Ha fatto rumore, né poteva essere altrimenti, l’intervento su La Stampa di qualche giorno fa del sottosegretario all’Istruzione, Davide Faraone. Tema, le occupazioni studentesche, ormai diventate un appuntamento fisso di ogni stagione scolastica. Nei confronti delle quali il sottosegretario ha mostrato una certa simpatia, al punto che sarebbe ben disposto a “istituzionalizzarle”. “Il governo crede così tanto nell’autonomia scolastica – dice il sottosegretario – che pensiamo che i singoli istituti potrebbero prevedere, se lo ritenessero utile, momenti simili, di autogestione programmata, come esperienza curriculare da far fare ai ragazzi”. Oibò. Addirittura prevedere l’autogestione nei curricula? Non è un po’ troppo? Evidentemente non per Faraone, che d’altra parte di occupazioni se ne intende, visto che a suo tempo anche lui le ha fatte. “Esperienze di grande partecipazione democratica che ricordo con piacere”, dice. “In alcuni casi più formative di ore passate in classe”, aggiunge. Talmente formative da forgiare nientemeno che la classe dirigente del paese. “Chissà quanti hanno cominciato a fare politica, o vita associativa, o hanno scoperto la passione civile, proprio partendo questa esperienza. O ancora, quanti sono diventati leader di un’azienda durante un’occupazione studentesca. Anche in questi contesti si seleziona la classe dirigente”.
Premesso che sulla classe dirigente italiana, soprattutto quella formatasi durante le contestazioni, occupazioni e via protestando, ci sarebbe molto da (ri)dire, e in alcuni casi da ri-dere, il punto è un altro: che bisogno c’è di occupare quando, come hanno giustamente sottolineato i docenti del Liceo Virgilio di Roma in una lettera al Corriere, già esistono “ampie forme di partecipazione studentesca”? E soprattutto: è davvero, come dice Faraone, un momento di “grande partecipazione democratica”, o non piuttosto un gesto prepotente di una minoranza a discapito dei più, che o non sono interessati alle magnifiche sorti e progressive della scuola italiana, o pur essendolo semplicemente preferiscono comunque andare in classe e seguire le lezioni, e si vedono impediti e privati di un diritto sacrosanto, legittimo tanto (anzi direi di più) quanto quello di chi vuole protestare?
E poi, andiamo: è proprio sicuro Faraone che le occupazioni siano quei momenti idilliaci di confronto dialogo e partecipazione di cui parla, o non piuttosto aule ridotte a discariche, canne e alcool a go go, musica a tutto spiano e cazzeggio annoiato con qualche accenno di (inconcludente) discussione che di notte cede il passo ad altre forme di approfondimento? Discutere sulla scuola e su questo o quel progetto riforma non solo va bene ma è doveroso, e ben vengano argomenti e proposte da parte degli studenti. Ma al di fuori dell’orario scolastico. Prima, cari occupanti in servizio permanente effettivo, imparate come si deve a leggere, parlare articolando possibilmente frasi di senso compiuto, scrivere mettendo i congiuntivi al loro posto e fare di conto (magari senza computer), poi discutete quanto e come volete. Nel rispetto delle regole e degli altrui diritti.
Per chi suona la campanella. Le occupazioni studentesche ai tempi del Faraone
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