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Ecco come le banche d’affari speculano sulle materie prime

Le grandi banche sono state pizzicate a speculare alla grande sulle commodity, sulle materie prime, sui cereali e su altri prodotti alimentari. La Commissione d’Indagine del Senato americano, diretta dal democratico Carl Levin e dal repubblicano John McCain, ha pubblicato un dossier di 400 pagine dal titolo «Wall Street bank involvement with physical commodities» per denunciare con dovizia di dettagli come le «too big to fail»» stiano manipolando, ovviamente a loro vantaggio, i mercati delle commodity. Naturalmente tutto ciò con riverberi sui mercati internazionali.

Per due anni la Commissione ha indagato sui casi più eclatanti che evidenziano come «il massiccio coinvolgimento di Wall Street nelle commodity mette a rischio la nostra economia, le nostre imprese e l’integrità dei nostri mercati. Bisogna reintrodurre – continua la Commissione – la separazione tra banca e commercio per prevenire che Wall Street utilizzi informazioni non di pubblico dominio a suo profitto e a spese dell’industria e quindi dei cittadini». Ciò non vale soltanto per gli Stati Uniti ma per il mondo intero.

La Commissione sta procedendo con delle audizioni pubbliche per dimostrare come alcune banche abbiano fatto aumentare artificialmente i prezzi delle materie prime e speculato in derivati sulle stesse, sfruttando gli «effetti provocati» dalle manipolazioni. Il senatore Levin avverte anche di possibili futuri rischi sistemici per l’economia dovuti al fatto che le banche sono coinvolte in imprese esposte ad alti rischi di catastrofi ambientali.

Sono state analizzate in particolare le attività delle solite maggiori banche americane, tra cui la Goldman Sachs, la JP Morgan Chase, la Morgan Stanley e la Bank of America. La Goldman avrebbe assunto il controllo del mercato dell’alluminio. Nel 2010 ha acquistato la Metro International Trade Services di Detroit, che gestisce lo stoccaggio certificato dalla London Metal Exchange, la principale borsa mondiale dei metalli. Nei suoi magazzini ci sarebbe l’85% di tutto l’alluminio contrattato alla borsa di Londra per il mercato americano. Trattasi di 1,6 milioni di metri cubi di alluminio pari al 25% dell’intero consumo annuale in Nord America. La banca ha aumentato la sua proprietà diretta di alluminio passando da una quantità pari a 100 milioni di dollari a 3 miliardi. Possiede, tra l’altro, anche un’impresa che commercia uranio e due grandi miniere di carbone in Colombia!

Il meccanismo messo in atto sembra piuttosto semplice. Attraverso varie manipolazioni e fittizi spostamenti di ingenti quantità da un magazzino all’altro, la Goldman Sachs sarebbe riuscita a determinare ritardi nelle consegne del metallo alle industrie acquirenti. Invece dei 40 giorni necessari nel 2010, lo scorso settembre il tempo di consegna è stato di ben 600 giorni! Ovviamente ciò ha prodotto un aumento sul costo dello stoccaggio, la cui percentuale su quello totale è passata dal 6% del 2010 al 20% di oggi. Naturalmente tutto a beneficio di Metro-Goldman. La conseguenza è stata un’impennata dei prezzi dell’alluminio tanto che molte imprese colpite hanno denunciato la manipolazione, tra cui la Coca Cola. Sembra che al «giochetto degli spostamenti» abbiano partecipato anche altre banche come la Deutsche Bank e l’hedge fund inglese Red Kite.

I profitti realizzati con l’aumento dei prezzi di stoccaggio per la Goldman sono stati soltanto una piccola parte del guadagno. Il vero business lo hanno fatto con le speculazioni sui future dell’alluminio e con altri derivati costruiti in base alla manipolazione dei prezzi e alla posizione di monopolio dello stoccaggio. Da parte sua la JP Morgan Chase ha ammassato grandi quantità di materie prime per un valore di mercato di 17,4 mld di dollari pari al 12% del suo capitale di base, il cosiddetto Tier 1. Poiché sono stati superati abbondantemente i limiti permessi, la banca furbescamente ha sottostimato di quasi due terzi tale valore prima di rendicontarlo alla Federal Reserve. È arrivata anche a possedere fino al 60% di tutto il rame negoziato sui mercati mondiali. Nel campo energetico possiede 25 milioni di barili di petrolio e controlla 19 centri di immagazzinamento di gas.

La Morgan Stanley invece controlla 58 milioni di barili di petrolio. Possiede 100 petroliere e circa 8.000 km di oleodotti. È padrona di 18 centri di immagazzinamento di gas. Contemporaneamente sta costruendo la propria centrale di compressione del gas ed è la fornitrice privilegiata di carburante per alcune grandi compagnie aeree. La Bank of America ha 35 centri di stoccaggio di petrolio e 54 di gas.

In altre parole, all’ombra di una troppo abusata globalizzazione che tutto giustifica, le banche fanno sempre meno gli istituti di credito e, forti anche dei capitali ottenuti a tassi di favore dal governo, si mettono in diretta competizione con le imprese che operano nei settori dell’industria, dell’agricoltura, del commercio, della lavorazione e dello sfruttamento delle materie prime fino a determinarne i comportamenti e la stessa sopravvivenza.

Appare chiaro l’intreccio perverso tra banche e organismi di controllo che evidentemente non hanno fatto il loro dovere. Avviata l’indagine senatoriale, la Goldman Sachs si è affrettata a licenziare due suoi importanti operatori coinvolti nelle manipolazione. Si è scoperto però che prima essi avevano lavorato per la Federal Reserve di New York. Del resto è noto che l’attuale capo della Fed di New York, William Dudley, è stato un alto dirigente della Goldman fino al 2005 È certamente importante che la Commissione d’indagine del senato lavori su questi casi specifici. In passato la stessa Commissione in verità aveva denunciato le responsabilità delle grandi banche americane nella crisi finanziaria globale dei mutui subprime, dei derivati Otc e dei titoli tossici.

Il fatto che, a distanza di anni, si debba ancora denunciare simili gravi comportamenti, dovrebbe suonare come un vero allarme sui rischi sistemici di una finanza che purtroppo continua a ritenersi l’ agnello d’oro da adorare sempre. Ci saremmo aspettati che a Brisbane si fosse parlato anche di ciò.


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