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La patologia letale è il consociativismo, l’antipolitica è il sintomo

La patologia letale, che sta portando il Paese nel caos, mettendo a rischio la democrazia, è il consociativismo, ossia la cancellazione della cultura che presiede la politica, che è, dovrebbe essere, un qualcosa fatto da uomini e donne per milioni di uomini e donne, se si hanno chiari e nitidi i confini tra destra e sinistra, tra lo Stato di diritto e perciò laico e lo Stato confessionale o  teocratico, tra rivoluzione nonviolenta e restaurazione autoritaria: l’antipolitica come pure il populismo sono il sintomo del degrado, anzi del fallimento della prassi consociativa.

Equivocare o scambiare la patologia con il sintomo, la causa con l’effetto, apre la strada alle peggiori e più cruente soluzioni opposte alla democrazia, alla partecipazione, alla dialettica, al confronto: non si vedranno magari sfilare per le strade i carri armati come in Ungheria nel ’56 o a Praga nel ’69 o in Cile nel ’73, ma ogni giorno gli spazi di libertà, gentilmente, saranno ridotti, con il lavoro, i diritti civili e sociali, l’aumento delle diseguaglianze economico-sociali e di conseguenza delle proteste di piazza.

Il consociativismo e la conseguente prassi consociativa: è questa la patologia endogena del sistema ereditato dalla Liberazione quando, nel passaggio dal ferocissimo Ventennio fascista alla Repubblica, che per alcuni non fu quella agognata e progettata anche se sempre difesa, si lasciarono inalterati o quasi la struttura e l’apparato sia dello Stato centrale, la burocrazia, sia dei suoi principali organi collaterali, magistratura, esercito, informazione, scuola, università.

Si realizzò, in quel triennio, 1944-1947, la spartizione del bottino del Ventennio, grazie alla prassi consociativa, tra il Pci di Palmiro Togliatti e la Dc di Alcide De Gasperi, sotto l’attenta regia del Vaticano, e con il gracile Psi di Pietro Nenni a far da semplice comparsa. Si diede vita a un sistema bloccato, imperniato sui due partiti di massa, Pci e Dc, costruiti e modellati su due ideologie, comunismo e cattolicesimo, entrambe fortemente ostili e refrattarie alla rivoluzione nonviolenta, laica e democratica che cambiasse radicalmente struttura e apparati dello Stato centrale e dei suoi principali organi collaterali: non è un caso che l’Italia sia stato e sia tuttora uno dei pochi paesi dell’Europa a non aver fatto la sana e doverosa epurazione del Ventennio, a non aver conosciuto l’alternanza al governo tra partiti o schieramenti diversi progressisti e conservatori, destra e sinistra, a esser il paese europeo più corrotto e incapace totalmente di infrenare le inframmettenze clericali.

La Dc dominus del Potere centrale, economico-finanziario, il Pci dominus del Potere periferico enti locali e d’interdizione, mondo del lavoro e informazione, con il potere giudiziario nelle loro mani, i due moloch del consociativismo hanno, tranne la breve parentesi riformatrice del primo centro-sinistra del 1962, i cui effetti riformatori arrivarono al 1974 con la vittoria del No al referendum sul divorzio e al 1978 con la legge sull’aborto, condizionato, pesantemente, la fragilissima Prima Repubblica, morta con Tangentopoli e Mani Pulite.

Poco o nulla è cambiato dal crollo del Muro di Berlino in avanti: il consociativismo, ben visto e sostenuto dal Vaticano, è stato ed è ancora oggi la gabbia entro cui si svolge non la Politica ormai spogliata di qualsiasi elaborazione culturale, ma l’osceno mercanteggiare, il deleterio do ut des, la carriera e i soldi in cambio dell’anima!

Ne discende che qualsiasi operazione culturale e politica, e ce sono in cantiere, rivolta alla possibile rinascita della sinistra moribonda, per poter essere credibile, praticabile, affidabile, non può prescindere dalla messa al bando del consociativismo e della prassi consociativa e dall’opposizione allo smantellamento dello Stato di diritto e laico per lo Stato confessionale o teocratico: vie d’uscita affidate al miracolo di un francescano non sono date, non esistono.

Esiste, al contrario, l’opera umana di costruire un nuovo umanesimo che, nel riappropriarsi del pensiero originale, autonomo e laico di quel manipolo di eretici – Antonio Gramsci, Piero Gobetti, Carlo Rosselli, Riccardo Lombardi, Piero Calamandrei, Ferruccio Parri – lontanissimi dal catto-comunismo togliattiano da cui nacque il mortifero consociativismo, e teorici convinti e intransigenti della politica come un qualcosa fatto da uomini e donne per milioni di uomini e donne, sappia fonderlo con il meglio sulla conoscenza della realtà umana.

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