Dopo l’apertura del Premier alla minoranza PD seguirà, immancabilmente, la riconferma in pompa magna della validità dell’accordo del Nazzareno. Tutto come da copione: un colpo al cerchio, l’altro alla botte. E tutti potranno sentirsi serenamente preoccupati.
Del resto la posta in gioco è ricchissima, si va dalle riforme costituzionali, alla legge elettorale, alla corsa per il Colle che -al momento- nessuno sa bene se e quando avrà inizio.
Intanto Renzi si porta avanti con il lavoro: spara a zero sull’Ulivo ma poi invita Prodi ad un incontro, sferza la minoranza interna porgendole –in extremis– una mano per tenerla (da panchinara) in partita e si tiene alla larga da palazzo Grazioli sapendo che l’accordo del Nazzareno è l’unico elemento certo di questo confuso, quanto avvincente, risico. Il tutto sullo sfondo di elezioni certe (le regionali) e di elezioni possibili (le politiche).
Astuzie, espedienti, ricatti che servono a Renzi per tenere in mano il bandolo di una matassa sempre più aggrovigliata ma, tutto sommato, assai semplice da gestire.
La questione è presto detta: la minoranza del PD senza il PD è morta. E Berlusconi, senza patto del Nazzareno, è destinato a fare la comparsa. Morale: tutti hanno bisogno di Renzi per sopravvivere.
Nei prossimi 47 giorni si gioca la legislatura: arrivano in porto l’Italicum, il nuovo Senato e il Titolo V. Ancore di salvataggio più che banchi di prova. Dal loro esito dipenderà il futuro della legislatura, ma soprattutto il futuro dei due contendenti, minoranza PD e Forza Italia. A Renzi il compito -assai grato- di assicurare loro una dignitosa scialuppa di salvataggio.
In fondo l’unico vero giocatore in campo è lui. I Salvini, i Grillo giocano su terreni minori, periferici: Salvini senza Berlusconi è un signor 10% e Grillo senza l’appiglio delle mancate riforme, tornerà nei ranghi di una minoranza rumorosa.
Ma com’è noto, in politica guai stravincere!
A Renzi quindi resta un’ultima grande sfida per continuare a smazzare le carte: adoperarsi per mantenere in vita (assieme alla maggioranza) gli avversari più prossimi.
Bizzarrie della “politica di mezzo” in cui maggioranza e minoranza, sinistra e destra, prima e dopo si dissolvono in un presente grottesco seppur straordinariamente suggestivo.