Poche pochissime risposte ai questionari in rete sulla Riforma che Renzi dice “Essere la speranza del nostro Paese”. Dei 7,8 milioni di studenti e studentesse che frequentano la scuola italiana e gli 800mila professori solo centomila i questionari compilati. Certo stanchezza e frustrazione dominano le aule italiane di una scuola alla quale si pensa, nella legge finanziaria, a risorse mirate alla messa in ruolo di oltre 250mila insegnanti ( senza nessuna garanzia di qualità e così sale inutilmente il rapporto alunni/insegnanti) e il restailing dei muri e non ai contenuti da trasmettere ai nostri giovani. Come si può credere in una scuola con un sottosegretario che sostiene le occupazioni con motivazioni demenziali e cancella il lavoro dei precedenti ministri Moratti e Gelmini con un vigore ideologico e demagogico incomprensibile, dirigenti scolatici che vietano i simboli cristiani e una proposta che configura la conclusione drammatica di aziendalizzazione della scuola italiana statale.
Una scuola dove lo Stato istituzione non garantisce più il merito, ma diventa una agenzia di servizi a domanda individuale, una scuola non più fondata sui principi della democrazia scolastica sul pluralismo pubblico e privato e sulla libertà di insegnamento: non abbiamo bisogno di un autoritarismo dirigenziale che domina ampliando discrezionalmente la sperequazione tra istituti scolastici, a seconda di indirizzi, territori, destinatari; annulla il principio pedagogico della collaborazione collegiale e del lavoro condiviso, configurando una figura di insegnante-monade, che impegna le proprie capacità per costruire una carriera che gli garantisca di prevalere sugli altri economicamente e nella collezione dei crediti; un docente che sceglie le proprie sedi per potersi affermare, un docente che valuta ed è valutato non già in base al mandato che la Costituzione gli ha implicitamente affidato, cioè favorire la cittadinanza consapevole.
Non è questa la scuola italiana che serve ai giovani: dobbiamo ricominciare a trasmettere i valori della cultura del sapere dello studio della responsabilità perduta. Ai giovani dobbiamo e possiamo, come diceva Dossetti, far conoscere la Costituzione, impegnandoci a farla vivere”. Fatevela amica e compagna di strada”.
E allora ricordiamo a Renzi e ai nostri giovani e a noi stessi cosa significa conoscere la Costituzione italiana per la scuola che vogliamo:
“diritti”: Il diritto al “rispetto della persona” di ogni essere umano, chiunque esso sia (art. 32); riconoscendo a tutti i cittadini e le cittadine “pari dignità” sociale, civile e giuridica, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art. 3).
* Ciò significa, per quanto riguarda la scuola, attribuire tale diritto ad ogni insegnante, ogni alunno/studente, ogni operatore coinvolto nella vita della scuola, riconoscendo e rispettando le “diversità” come ricchezza da valorizzare, e quindi considerando tutti come persone da non emarginare, escludere, selezionare, ma da aiutare a crescere, ciascuno nella sua specificità (sessuale, culturale, religiosa). Anche fra le generazioni si impongono diversità nella definizione dell’identità civile: i diritti e i doveri non sono gli stessi per un adolescente, per un adulto o per un anziano e, considerando il fatto che i giovani partecipano sempre più precocemente alla vita sociale, è opportuno attribuire loro un’identità propria non discendente dalla legittimazione offerta dai genitori ad un’età più giovanile” . Di conseguenza, “una maggiore età civile più precoce” esigerebbe che ai giovani venissero affidate “proprie responsabilità civili”, cioè che la loro “identità civile” ricevesse un “reale contenuto”
– Il diritto di tutti ,gli inabili ed i minorati ad essere sostenuti nel cammino verso “il pieno sviluppo della persona umana”, attraverso la rimozione degli “ostacoli di ordine economico e sociale”, che limitano di fatto “la libertà e l’uguaglianza dei cittadini” (art. 3 e 38).
* Questo vuol dire “diritto allo studio”, e in questo trovano fondamento la “centralità dello studente” e la “centralità della scuola”. “Certamente tra gli ostacoli più terribili (perché, più occulto ed occultato) che limitano la possibilità di partecipare alla vita nazionale e che sarebbe compito della Repubblica rimuovere sta e primeggia l’incapacità di controllare la comunicazione scritta, di accedere pienamente alle informazioni necessarie per vivere e, a volte, sopravvivere, dunque di costruirsi un adeguato corredo critico e una reale capacità di comprensione e controllo di ciò che accade intorno. Senza alfabeto niente democrazia. Senza alfabeto solo sottosviluppo. E’ necessario, allora, che la scuola tenga conto delle ineguaglianze delle condizioni di partenza e in genere delle condizioni personali, familiari, ambientali, economiche, sociali e culturali degli alunni, e disponga pertanto di mezzi idonei a compensare per quanto possibile le suddette ineguaglianze, in misura inversamente proporzionale alle risorse dell’utenza. Almeno per le scuole che sorgono nelle zone a “rischio” e nelle situazioni ambientali più svantaggiate, devono essere studiati e adottati provvedimenti di vario genere, che possono andare dall’apertura della scuola agli alunni anche nel pomeriggio – con la disponibilità delle attrezzature didattico-educative e di personale responsabile, al limite anche volontario -, all’introduzione di procedure innovative sul piano didattico – organizzativo).
– Il “diritto al lavoro”, di “tutti i cittadini”, per garantire il quale la Repubblica “promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto” (art. 4), e “cura la formazione e l’elevazione professionale” (art. 35).
* Si rende necessaria una solida formazione generale (che integri cultura e professionalità di base, concretezza e astrazione, scienza e tecnologia, rigore logico e creatività) ed una formazione specificamente professionale a vari livelli (al termine dell’obbligo scolastico, dopo la maturità e dopo la laurea), cui faccia seguito un costante aggiornamento. La “qualità” della scuola e della formazione professionale specifica condizionano infatti non solo la formazione umana e civile, ma anche le possibilità di accesso al lavoro.
– Il diritto a partecipare effettivamente “all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”, ad “associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale” (art. 3 e 49).
* In questa prospettiva, la scuola deve essere aperta al presente, al rapporto col territorio e con i problemi locali, nazionali, dell’Europa e del mondo, ricorrendo alla conoscenza del passato in vista di una migliore comprensione del presente, a cui lo studente non deve sentirsi estraneo per poter contribuire alla costruzione di un mondo più umano.
– Il diritto alla “libertà personale…inviolabile”, alla libera manifestazione del proprio pensiero “con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, al libero esercizio e al libero insegnamento dell’arte e della scienza (art. 13, 21 e 33).
* Ciò richiede che, entro ciascuna istituzione scolastica e nel concreto “fare scuola”, vengano riconosciuti come esigenze fondanti la funzione pubblica della scuola stessa, il pluralismo culturale e una chiara distinzione tra formazione culturale, sociale, civile conformemente ai principi e ai valori costituzionali, e indottrinamento ideologico e/o proselitismo confessionale. Resta inteso che la libertà del docente non deve attuarsi come arbitrio individuale, ma come capacità di dare liberamente il proprio contributo attraverso il lavoro collegiale, oltre che quello personale.
– Il diritto di “accedere agli uffici pubblici…in condizione di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge” (art. 51).
* Ciò esige, ancora, per quanto riguarda una scuola che intenda vedere riconosciuta una funzione pubblica, il diritto per tutti di accedere all’insegnamento attraverso forme di reclutamento degli insegnanti contrassegnati da criteri oggettivi di professionalità.
I “doveri”:
– Il dovere per tutti i cittadini di “svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società” (art. 4).
* Sarà quindi necessario, nella scuola, rendere effettiva per gli alunni la possibilità di scegliere la propria strada, orientando gradualmente lo studente verso scelte scolastiche che non siano premature rispetto all’età dell’alunno, non siano di fatto irreversibili o quasi, e presuppongano, quindi, una struttura tendenzialmente unitaria e flessibile del sistema scolastico.
– Il dovere di tutelare “il paesaggio” e “il patrimonio storico e artistico”, di collaborare alla “difesa della Patria” e insieme di ripudiare la guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” e di promuovere “le organizzazioni internazionali” rivolte a costituire “un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni” (art. 9, 11 e 52).
* Ne consegue che la scuola debba tener conto di questi orientamenti valoriali, il cui conseguimento è essenziale, oggi come non mai, per la sopravvivenza delle persone, dei popoli, dell’umanità. La consapevolezza dell’esigenza primaria di rispettare la persona umana in quanto tale nella diversità delle persone, di operare per il suo pieno sviluppo in rapporto a se stessi e agli altri, quindi di agire secondo il criterio di solidarietà verso i più deboli (e cioè verso quegli individui e quei popoli il cui pieno sviluppo sia maggiormente ostacolato da condizioni interne ed esterne di qualsiasi genere), questa consapevolezza – in quanto investe il piano etico/culturale – rinvia ad un’azione formativa da realizzare prioritariamente nelle scuole pubbliche, in quanto da essa viene condizionata la vita economica, sociale e politica in un paese democratico.
Tutto ciò viene a costituire il carattere fondante della funzione pubblica della scuola, che è scuola per tutti e di tutti i cittadini, e – in quanto tale – eminentemente “scuola di stato”, costituzionalmente unica garante del diritto allo studio. Di conseguenza la scuola di stato deve essere sottratta alla logica e ai meccanismi del “mercato”. La Repubblica “istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi” (art. 33), in rapporto al diritto personale che ogni individuo ha, fin dalla nascita, al suo pieno sviluppo, all’educazione e all’istruzione; diritto personale di ciascuno cui corrisponde il “dovere” (e altresì il “diritto”) dei genitori che non ne siano palesemente incapaci, di “mantenere, istruire ed educare i figli”, mentre in caso contrario “la legge provvede a che siano assolti i loro compiti” (art. 30). “Senza oneri per lo Stato”, poi, la Costituzione riconosce ad “Enti e privati” il “diritto di istituire scuole ed istituti di educazione” (art. 33).
Nell’ambito del sistema scolastico nazionale, il modello di riferimento è costituito, dunque, dalla scuola statale, a cui anche la scuola non statale deve rapportarsi sia per ottenere – sulla base dei requisiti richiesti per legge – la “parità”, sia per poter essere integrata entro il sistema di istruzione pubblica.
La richiesta e il conseguimento della “parità” delle “scuole non statali” con la “scuola di stato” implica ancora “diritti e obblighi”: la “piena libertà” e “un “trattamento scolastico equipollente” per i loro alunni, nel rispetto delle “norme generali sull’istruzione” (nel caso specifico, ci si potrà riferire alla normativa sulle autonomie d’Istituto, oltre che a tutte le norme relative alla progressione negli studi, alla validità dei titoli di volta in volta conseguiti, alle verifiche nazionali), della coerenza con le finalità, gli obiettivi e le condizioni previste per la scuola di stato e il rispetto di requisiti oggettivamente definiti per la nomina dei docenti. (art. 33).
In rapporto al diritto di ciascuno allo studio, possono essere previsti i provvedimenti che si riterranno più opportuni, in favore degli alunni appartenenti alle famiglie meno abbienti, tanto che frequentino scuole pubbliche, quanto scuole private paritarie.