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Ecco sfide passate e future dello spazio italiano

Il 15 dicembre 1964, l’Italia, terzo paese al mondo dopo Russia e Stati Uniti, lanciava con successo il suo primo satellite, il San Marco 1.
Oggi, cinquanta anni dopo, il settore spaziale sta vivendo un importante cambiamento, a tratti epocale, non ancora, a mio parere, ben compreso dagli “stakeholder” europei.

I recenti successi delle missioni scientifiche dell’ESA, come Rosetta, o la missione Futura che vede un’astronauta italiana, Samantha Cristoforetti, prima donna italiana a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, non devono, però, farci dimenticare le evoluzioni “commerciali” che il settore sta vivendo e che stanno rivoluzionando il modo di pensare lo Spazio: il coinvolgimento sempre più importante di privati nei grandi programmi della NASA, come ad esempio ORION, la nuova capsula per i viaggi spaziali realizzata in un “frame” di partnership Pubblico – Privato molto forte; l’accesso allo spazio tramite aziende private, come la Space-X di Elon Musk; l’affacciarsi di nuovi investitori privati che richiedono soluzioni “chiavi in mano” per applicazioni e servizi sempre più “consumer”.

Il mercato ha sempre più bisogno di soluzioni tecnologiche avanzate ma, al tempo stesso, competitive, anche per sopperire alla drastica riduzione dei finanziamenti pubblici nel settore.
L’Italia può ambire a giocare un ruolo di leadership in questi nuovi contesti, nei nuovi mercati emergenti se, però, si tengano in dovuto conto le evoluzioni degli scenari internazionali così come le evoluzioni del quadro industriale nazionale.

Negli ultimi anni il settore spaziale Italiano ha registrato un consistente cambiamento del tessuto industriale. La grande industria di Stato, poi diventata, di fatto, industria a partecipazione pubblica ma a maggioranza straniera, non è più unico player, altri investitori privati operano nel settore creando nuove opportunità e nuovi posti di lavoro.
In un momento di diaspora delle eccellenze nazionali all’estero, prevalentemente verso il nord-Europa e gli Stati Uniti, si dovrebbero supportare quelle realtà nazionali che continuano ad investire nel nostro Paese consentendo, altresì, di preservare le tecnologie sviluppate nelle nostre università, nei nostri centri di ricerca e nelle nostre aziende, grazie anche agli investimenti pubblici, consentendo, con orgoglio, di continuare ad esportare il “made in Italy” nei mercati mondiali anche nel nostro settore.

L’azienda che rappresento, la SITAEL Spa, nasce su iniziativa privata, mettendo assieme varie pmi italiane, ciascuna di eccellenza nel proprio campo, con il fine di creare una nuova entità nazionale, oggi grande impresa e che prevede l’ingresso di 1000 nuove unità in pochi anni, capace di agire come sistemista e sviluppare nuove soluzioni in linea con le necessita di mercato. Stiamo investendo soprattutto nello sviluppo di piccoli satelliti per nuove ed innovative costellazioni intelligenti per l’Osservazione della Terra, abbiamo appena inaugurato il nuovo stabilimento da 20 milioni di euro equipaggiato con attrezzature e “facility” allo stato dell’arte. Questi sistemi rappresentano già il futuro e in Italia ci sono tutte le competenze per gestire l’intera catena, dalla progettazione e realizzazione dei satelliti al lancio, dalla gestione della costellazione alla fornitura delle applicazioni e dei servizi finali.

Considerate le limitazioni di budget e le difficoltà nel reperire nuove risorse da allocare al settore spaziale Italiano, appare inevitabile definire azioni prioritarie di intervento che garantiscano i giusti ritorni in senso strategico, occupazionale e di opportunità di penetrazione dei mercati internazionali per il comparto industriale nazionale.
Negli ultimi anni, quasi tutte le risorse disponibili per i programmi nazionali sono state concentrate su pochi grandi programmi, spesso in assenza di una chiara definizione degli obiettivi e dei ritorni degli investimenti allocati.

Quando le risorse sono esigue, come avviene in tutti i paesi più importanti, si supporta prioritariamente l’industria a controllo nazionale, che deve però realmente garantire investimenti in innovazione e competenze. I programmi nazionali quindi, devono lanciare lo sviluppo di nuove tecnologie abilitanti che consentano in primis alla ” nostra” industria di essere competitiva nel mondo e di riprendere quella leadership che meritiamo.



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