L’Italia è uno Stato sovrano: ci sono principi fondamentali della nostra Costituzione che non possono venir meno, neanche con la cessione di sovranità nei confronti di istituzioni internazionali, come l’Onu o l’Unione europea. Gli stessi limiti valgono nei confronti dei trattati: una volta che queste disposizioni siano state dichiarate costituzionalmente illegittime, cessano di essere vincolanti nel nostro ordinamento interno.
E’ stata una recentissima sentenza della Corte costituzionale (238/2014) a dare concreta attuazione per la prima volta a questo principio giurisprudenziale e dottrinario, unanimemente condiviso e da lungo tempo sostenuto, ma che non era mai messo in pratica: le norme dei trattati internazionali, quelle emanate dell’Unione europea ed anche le consuetudini generalmente riconosciute, devono in ogni caso rispettare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale ed i diritti inalienabili delle persone. Se quindi è possibile limitare la sovranità nazionale, aderendo ad una istituzione internazionale ovvero stipulando un trattato, esistono dei “controlimiti”. Sulla base di questo consolidato orientamento, la Corte ha dichiarato la illegittimità delle disposizioni di legge che imponevano ai tribunali italiani di negare la propria giurisdizione ai cittadini che avevano citato in giudizio la Repubblica federale tedesca per il risarcimento dei danni subiti con la deportazione in campi di concentramento ai tempi del Terzo Reich.
Altrettanti limiti valgono anche nei confronti delle decisioni della Unione europea: non basta affermare che un certo comportamento è obbligato perché “lo vuole l’Europa”, né vale minacciare il rischio della responsabilità internazionale per ogni inadempimento. Bisogna, e si può, verificare che la pretesa sia legittima. Né, ancor più, si può affermare che “è tardi e non si può più tornare indietro”, perché avremmo le mani legate avendo aderito alla tale istituzione, ovvero ratificato un certo trattato. La sudditanza sul piano internazionale è spesso, quindi, più psicologica e politica che giuridica.
Non sono astruserie. Ci sono problemi attualissimi, questioni incandescenti che saranno presto giudicate sulla base del principio appena fatto valere dalla nostra Corte costituzionale: la prima riguarda la legittimità del Fiscal Compact. Il Patto per la stabilità e la crescita (PSG), infatti, è un trattato internazionale ratificato dall’Italia, che si sovrappone alla disciplina in materia di politiche di bilancio già contenuta nei Trattati europei: ha reso più incisivo quanto stabilito con il Trattato di Maastricht, sottoponendo al controllo della Commissione europea le decisioni di bilancio dei Paesi aderenti al Patto. Si prevede il principio del pareggio strutturale, si introducono gli obiettivi a medio termine e la possibilità di ricorrere al deficit solo nei casi di ciclo economico particolarmente sfavorevole o di crisi finanziarie. Ci sono poi le regole specifiche per la riduzione del rapporto debito/pil, per riportarlo in 20 anni al 60%.
Oltre al limite intrinseco rappresentato dalla compatibilità del Fiscal Compact con i Trattati europei, su cui nessuno ancora si è pronunciato, c’è un profilo decisivo per l’Italia: nessuna procedura di infrazione della Commissione, assunta sulla base del Fiscal Compact, potrà essere accettata prima di aver accertato che il Patto stesso rispetti i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano in materia di politica di bilancio. Sul punto, la competenza esclusiva, assoluta ed inderogabile a decidere spetta alla Corte costituzionale italiana.
Le avvisaglie di una prossima decisione della Commissione europea che imponga all’Italia ulteriori misure correttive, che ci farebbero cadere in una crisi recessiva senza ritorno, ci sono tutte. Il Presidente della Commissione, Jean Claude Junker, ha già affermato che a marzo prossimo, quando si concluderà l’esame dei bilanci statali, la Francia e l’Italia si potrebbero trovare in una situazione davvero molto scomoda. Il Commissario alle questioni economiche e finanziarie, Pierre Moscovici, ha inviato alla Presidenza della Camera dei deputati una copia delle “Opinioni della Commissione” sul progetto di bilancio per il 2015 comunicato dal Governo italiano: è un ulteriore monito, in vista dell’apertura di una procedura per deficit eccessivo, determinata dalla violazione della regola del debito. C’è infatti uno scostamento, pari al 2,5% del pil, rispetto al criterio transitorio del minimo aggiustamento lineare strutturale: in concreto, una correzione strutturale, per ridurre il debito eccessivo di circa 40 miliardi di euro.
I principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano prevedono l’obiettivo del pareggio strutturale del bilancio nell’ambito della revisione dell’articolo 81 della Costituzione, ma la conseguente legge di attuazione (243/2012) ha fatto testualmente rinvio per ogni questione, ed in particolare per quanto riguarda la sostenibilità del debito, a quanto previsto dall’ordinamento della Unione europea. Lo stesso riferimento è contenuto nelle modifiche apportate agli articoli 97 e 119 della Costituzione. Ne deriva che la concreta limitazione della sovranità nazionale italiana in materia di politica di bilancio è condizionata alla preventiva incorporazione delle norme del Fiscal Compact all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, in coerenza con quanto è espressamente previsto dall’articolo 16 del Patto stesso. Fino ad allora, il Fiscal Compact non determina per l’Italia obblighi ulteriori rispetto a quelli vigenti sulla base dell’ordinamento della Unione europea.
Il Fiscal Compact è stato e rimane un rimedio sbagliato ad una situazione di grave squilibrio all’interno dell’Europa: i bilanci pubblici sono in dissesto a causa di quegli squilibri che hanno determinato la crisi e della recessione determinata dalla severità degli aggiustamenti fiscali. L’Italia è stata obbligata ad anticipare di un anno l’obiettivo del pareggio strutturale del bilancio, adottando politiche che hanno distrutto irrimediabilmente capacità produttiva, occupazione, reddito e ricchezza: se avessimo resistito alle pressioni, la Bce sarebbe intervenuta davvero con l’OMT per placare i mercati finanziari, sobillati dalla speculazione. Sarebbero stati puniti gli speculatori e non gli inermi cittadini. La Corte costituzionale si è mossa: c’è un Giudice, finalmente, anche a Roma.