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Perché la Legge di Stabilità non rende più stabile l’Italia

Riceviamo e volentieri pubblichiamo

La manovra finanziaria in sé non è un buon auspicio per un buon Natale ed un sereno anno nuovo. Se poi alla sostanza si aggiunge la forma, ovvero le modalità ed i tempi dell’esame e dell’approvazione, c’è ben poco da festeggiare.

Le clausole di salvaguardia inserite in Finanziaria per dare maggiore credibilità alla manovra e fornire maggiori garanzie all’Europa rappresentano per le nostre tasche e per la nostra economia un presagio funesto.

Come segnalato da molti osservatori, il controllo della spesa, con l’attuazione puntuale della famigerata spending review e del piano Cottarelli, rimane un mero enunciato sfumato con la ‘cacciata’ del suo ideatore.

Infatti, non è un caso che il contenimento e la razionalizzazione della spesa si riduce, di fatto, ai tagli lineari imposti a regioni e comuni per finanziare il bonus-spot degli 80 euro (i cui effetti benefici sui consumi, peraltro, continuano a latitare) con ricadute tutt’altro che positive per i cittadini in termini di costi e servizi.

Detto ciò ed a fronte di spese che, nonostante la retorica non sono né destinate né casomai sufficienti ad ingenerare crescita, l’entrata in vigore delle clausole è molto più che una semplice eventualità.

L’annunciato esame primaverile dell’Ue sui conti pubblici italiani potrebbe quindi sancire l’aumento dell’IVA al 25,5% e delle accise sulla benzina già per la metà del prossimo giugno. I più maliziosi e malpensanti (ma non dimentichiamo mai l’adagio andreottiano) parlano chiaramente di una non casualità della data, ipotizzando che gli effetti della manovra non andranno così ad impattare sull’election day previsto per metà maggio che, secondo i desiderata più intimi del presidente del Consiglio, potrebbe magari anche includere la tornata politica.

Tutte illazioni ma, se consideriamo anche la fretta per la nuova legge elettorale, come nei migliori gialli, abbiamo più indizi che concorrono a costruire una prova. Per ora, l’unica cosa certa, resta una manovra che prevede un inasprimento fiscale che culmina con una vera e propria stangata al vasto e variegato popolo delle partite Iva con un incremento dei contributi Inps e dei minimi.

Il grand canyon tra dichiarazioni e fatti, uno spread in costante ascesa da quando il governo si è insediato, non è più solo un problema di affidabilità politica e di adeguatezza del governo, ma un più serio fattore che mina il futuro del nostro Paese.

Gli indicatori per il 2015 subiscono una costante revisione al ribasso e non basterà una letterina a Babbo Natale per cambiare lo stato comatoso della nostra economia che, più di ogni altra subisce ancora gli effetti devastanti delle recenti politiche di austerity – che il governo non è stato in grado di scalfire nel del semestre Ue a nostra guida – e di una gestione ragionieristica di una crisi più profonda e più complessa di quello che molti pensavano.

Serve uno shock della nostra economia e più in generale dell’economia europea. Prima si farà e prima guarderemo al futuro con rinnovata fiducia e speranza.

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