Ha ragione il Times di Londra a incoronare Angela Merkel come personalità dell’anno? O ha ragione Foreign Affairs a temere che la Cancelliera finirà per favorire l’allontanamento della Germania dal cuore dell’Occidente? Come sono possibili valutazioni tanto diverse sulla politica estera tedesca?
Il prestigioso quotidiano inglese, fiore all’occhiello dell’impero Murdoch in Gran Bretagna, scrive che la Cancelliera “si è dimostrata una indispensabile mediatrice di potere in un anno in cui le relazioni est-ovest sono state messe alla prova fin quasi a raggiungere il punto di rottura, nella più grave crisi geopolitica dai tempi della Guerra Fredda”, attribuendo alla Merkel il merito di aver preso in mano la situazione ponendosi in prima linea nei negoziati con il presidente russo Vladmir Putin, fino agli incontri faccia a faccia con il capo del Cremlino nella sua camera d’albergo durante il G20 in Australia il mese scorso. Così facendo, “ha aiutato l’Occidente a concentrarsi su quanto ha più a cuore e su quello per cui vale la pena combattere”.
La più importante rivista americana di relazioni internazionali non nega che la Merkel si sia data da fare, ma il suo obiettivo è sempre stato di non rompere con Putin. Prudente e attentissima agli umori dell’opinione pubblica, la Kanzlerin ha mediato tra Stati Uniti e Russia, tenendo i piedi in due staffe. Le sanzioni le hanno messo contro l’establishment economico il quale punta a praticare una politica autonoma dall’Occidente che guarda a est, alla Russia e alla Cina. La Germania non solo dipende per il 38% dal gas russo, ma soprattutto dall’export (la quota sul pil è salita dal 33 al 48% da quando è nato l’euro che è comunque più debole del marco).
Ma non c’è solo l’economia. Dall’unificazione, sostiene Foreign Affairs, il Westbund, il legame con l’Occidente che aveva segnato la politica della Germania ovest dopo la seconda guerra mondiale, si è allentato. Cresce l’isolazionismo che spinge Berlino a prendere le distanze dagli obblighi d’intervento con la Nato, e l’anti-americanismo, mentre si riaffaccia persino l’idea di un legame spirituale tra l’animo tedesco e quello russo, evocando le “Considerazioni di un impolitico” di Thomas Mann. Angela Merkel, cresciuta all’est, è sensibile a tutto ciò, anche se non è lei ad aver allontanato la sponda del Reno (in realtà ha cominciato già Gerhard Schröder).
La nuova Ostpolitik, secondo Foreign Affairs, ha una conseguenza anche sulla politica europea: quel che interessa oggi a Berlino è una Europa tedesca non una Germania europea come volevano Konrad Adenauer, Helmut Schmidt o Helmut Kohl. Il pericolo, dunque, non è solo per l’economia, ma per la politica estera e di sicurezza.
Dunque, The Times o Foreign Affairs? Chi ha ragione tra i due? Forse entrambi perché guardano alla Germania da punti di vista diversi e senza dubbio la tesi di Hans Kundnani sulla rivista del Council on Foreign Relations è impregnata dalle paure e dalle diffidenze americane, fin da quelle di un tedesco-americano come Henry Kissinger.
E l’Italia con chi sta? Negli anni di Berlusconi stava con Bush e con Putin nello stesso tempo. Mario Monti stava con la Merkel e così Enrico Letta nel suo breve periodo a Palazzo Chigi. Con chi stia Matteo Renzi non è ancora chiaro. Ma val la pena cominciare a discuterne.