L’ha già documentato fin dagli anni Ottanta un grosso volume pubblicato da Don Ennio Innocenti, sacerdote della diocesi di Roma, intitolato La conversione religiosa di Benito Mussolini, giunto “alla macchia” alla 10^ edizione (Sacra Fraternitas Aurigarum Urbis, Roma 2005) e tradotto persino in spagnolo. Vero è che la conversione al cattolicesimo di Benito Mussolini (1883-1945), fu un processo pluridecennale e non privo di contraddizioni. E’ pur vero che, il suo punto di partenza non l’aiutò affatto, avendo ricevuto una educazione paterna [il padre, Alessandro Mussolini (1854-1910), era un’attivista dell’anarchismo più anti-cattolico e radicale] ed un’eredità ideologica dalle sue terre d’origine (la Romagna rossa), non certo vicine alla Fede.
UN “PROTAGONISTA NELL’OMBRA”
Ora un libro torna sull’argomento, riportando la testimonianza di uno dei sacerdoti che hanno più frequentato il Duce prima della sua orribile, Don Giusto Pancino (1907-1981) [cfr. Don Matteo Pasut, Protagonista nell’ombra. Padre Giusto Pancino, Associazione D. Giusto Pancino, Seconda edizione, Vivaro (Pordenone) 2013, pp. 180].
Don Pancino, cappellano militare nel 1940, in una delle sue ultime interviste, ha testimoniato al riguardo: «Nell’aprile del 1944 cominciò a dirmi di essere credente, cattolico romano. Quando attaccava questi discorsi, cercavo di cambiare argomento, perché pensavo che parlasse di religione solo per farmi piacere. Si accorse che dubitavo della serietà delle sue parole e mi ripeté più volte di essere credente. Mi disse che non si era mai mostrato praticante per non attirare la curiosità della gente sulla sua persona. Mi chiese di diventare il suo assistente spirituale e manifestò il desiderio di confessarsi» (cit. in Renzo Allegri, …E il Duce voleva confessarsi. Una pagina di storia sconosciuta su Edda Ciano e Benito Mussolini, in Zenit, 10 marzo 2011).
COMPAGNO DI GIOCHI DI EDDA CIANO MUSSOLINI
Don Pancino negli anni dell’adolescenza era stato compagno di giochi di Edda Ciano Mussolini (1910-1995) e, in seguito, fu testimone del periodo più drammatico della vita della figlia del Duce, quello cioè seguito alla fucilazione del marito, Galeazzo, in seguito al processo di Verona. Ciano, che nel 1936 era stato Ministro degli Esteri, subentrando nella carica allo stesso Mussolini (sottosegretario alla Farnesina dal 1932 al 1936), come noto, fu fucilato l’11 gennaio 1944 per aver firmato l’“ordine del giorno Grandi” del 25 luglio 1943. Dopo la sua estradizione in Italia, nell’ottobre 1943, Edda con i figli Fabrizio, Dindina e Marzio riuscì, grazie all’aiuto di Don Pancino, a fuggire in Svizzera.
In questo libro Don Matteo Pasut, 76 anni, a suo tempo successore di Don Pancino in una parrocchia del pordenonese e, quindi, custode oggi di molti documenti personali sulla vita del sacerdote, descrive i tentativi che Benito Mussolini, ricorrendo a lui, fece per cercare di riconquistare l’affetto di quella figlia, che aveva perduto per aver ordinato nel 1944 la fucilazione del marito, chiedendogli di incontrarla a suo nome e di ottenergli il perdono.
IL LIBRO CONSEGNATO A PAPA BERGOGLIO
Per oltre un anno, quindi, Don Pancino si trovò al centro di un groviglio di vicende familiari, politiche, diplomatiche, con il Duce residente a Gargnano sul lago di Garda che lo chiamava a più riprese, in primo luogo consegnandogli lettere ed incaricandolo di parlare ad Edda. Il sacerdote, in incognito e in gran segreto, fece quindi la spola tra Gargnano e la Svizzera, tra mille difficoltà e sempre inseguito dai servizi segreti di varie nazioni che gli davano una caccia spietata.
Edda non accettò in alcun modo di perdonare il genitore, anzi continuò fino all’ultimo di affermare di non poter smettere di maledirlo. Il primo incontro con il sacerdote avvenne il 25 marzo del 1944 e, in un clima di tensione, la donna accusò il padre di debolezza, di menzogna, di partecipazione colpevole all’uccisione del marito.
Al ritorno il sacerdote si fermò quindi a Milano per consigliarsi con il card. Ildefonso Schuster (1880-1954), su come proseguire i contatti con il Duce e su cosa riferire a Mussolini: l’indicazione è di affermare sempre la verità, cercando di giustificare il comportamento della figlia e lasciando aperta la speranza nella comprensione.
Sarà don Pancino a comunicare quindi al Duce che i condannati a morte del processo di Verona avevano inoltrato domanda di grazia, a Mussolini mai pervenuta, in quanto fermata dai tedeschi.
Negli ultimi giorni dell’inverno del 1945 nei quali il Duce sente che ormai non ci sono quasi più speranze: richiamò don Pancino e lo inviò ancora una volta a Berna, per conoscere – tramite il nunzio mons. Bernardini – se esistevano margini di trattativa con gli alleati in merito alla pretesa “resa incondizionata”, oppure se era possibile una certa elasticità, che gli avrebbe permesso di salvarsi.
Edda si trovava ricoverata in clinica a Montreux (cantone di Vaud) e le autorità vietarono a don Pancino d’incontrarla. Il dinamico sacerdote riuscì comunque ugualmente a stare con lei per quattro ore e a comunicarle che il padre desidera arrivare a una resa onorevole, vedendo il suo volto illuminarsi, convinta che egli riuscirà a salvarsi.
E’ l’ultima volta che i due s’incontrano, il 17 marzo 1945 e, più tardi, il sacerdote si rivide per l’ultima volta anche con Mussolini, un uomo prostrato, che non smise di ripetergli: «finirò ucciso». Ai primi di aprile, quindi il cardinale Schuster informerà Mussolini che gli Alleati hanno fatto sapere che la resa potrà essere solo incondizionata.
In questo libro, che l’Autore ha fra l’altro donato a Papa Francesco il 21 ottobre 2014, concelebrando con lui a Santa Marta, è raccontata quindi una pagina di storia davvero poco conosciuta, la quale offre spunti inediti sulla vita di Edda e di suo padre Benito Mussolini, nonché su altri fatti e protagonisti significativi dell’ultimo anno di vita del Duce.
Per la memoria di padre Pancino, che è stato parroco di Vivaro, in provincia di Pordenone, per circa 35 anni, è stata fondata nel 2004 un’Associazione culturale, operante nella stessa cittadina, impegnata nella divulgazione della storia e della testimonianza di questo sacerdote, per il quale è stata anche richiesta l’intitolazione di una strada al Comune.