Nel 2013 il Pil italiano si è contratto del -1,9% su base annua, riportando la ricchezza del paese sino a un livello paragonabile a quello dell’anno 2000. L’Italia continua a scontare la riduzione dei consumi e degli investimenti, a loro volta causati dal protrarsi della compressione del reddito disponibile, dal peggioramento della fiducia di famiglie e imprese e dalle persistenti difficoltà di accesso al credito (Rapporto Ice-Istat 2013-2014). Pur essendosi stabilizzato nel corso del secondo trimestre, il Pil italiano si è indebolito anche nel 2014.
A questo proposito, è interessante seguire le diverse previsioni degli ultimi mesi:
– in aprile la Commissione Europea preconizzava un’espansione annua del +0,6%;
– a maggio l’Ocse puntava a una crescita del +0,5% e l’Istat di nuovo del +0,6%;
– a settembre invece il Centro Studi di Confindustria scommetteva su di una riduzione del -0,4% mentre l’Economist Intelligence Unit del -0,3%;
– a ottobre, infine, il Fmi preconizzava una riduzione del -0,2%.
Il 2014 si è confermato come il terzo anno di recessione. E se il 2015 poteva apparire come l’anno della (parziale) ripresa, anche le sue prospettive sono andate deteriorandosi piuttosto rapidamente: in aprile la Commissione stimava per il 2015 una crescita del +1,2%; a maggio l’Istat un’espansione del +1% e l’Ocse del +1,1%; a settembre il Centro Studi Confindustria preconizzava un +0,5% mentre l’Economist Intelligence Unit un +0,3%; a ottobre, l’Fmi puntava a una crescita non superiore al +0,9%.
Secondo la Banca d’Italia, nel 2014 l’economia italiana si è nuovamente indebolita per via del protrarsi della caduta degli investimenti (un fattore essenziale per uscire dalla recessione quando i consumi restano fermi) e l’effetto dell’andamento sfavorevole del commercio internazionale sulle nostre esportazioni. A questo proposito, i dati Istat di novembre 2014 dicono invece che nei primi nove mesi dell’anno Italia ha registrato un avanzo commerciale di 28,2 mld (erano 19 nello stesso periodo 2013), che sale a 61,7 se non si considera l’energia. Tra gennaio e settembre l’export è cresciuto del +1,4% mentre l’import calava del -1,9%. L’incremento congiunturale dovrebbe essere ascritto soprattutto al mercato extra-Ue: a settembre la crescita tendenziale dell’export è stata sostenuta per Belgio (+29,9%), paesi Opec (+20,6%) e Stati Uniti (+13,3%). In aumento gli acquisti da India (+20,3%) e Spagna (+20%).
Sotto il profilo commerciale, il paese segue le tendenze mondiali, riorientando progressivamente le proprie esportazioni verso mercati lontani (fine della centralità dei mercati Ue e dell’America settentrionale): si riduce il peso del mercato dell’Ue (comunque primo partner commercialedell’Italia, su cui il paese riversa oltre il 50% delle esportazioni), mentre aumenta l’incidenza delle aree meno vicine eppure più dinamiche (Asia orientale, Africa, Americhe). A questo proposito, va sottolineato il cambiamento degli stili di vita di alcuni mercati emergenti dovuto al loro sviluppo economico che ha portato a un arricchimento della classe media che, a sua volta, ha favorito modelli di consumo orientati ai prodotti di specializzazione dell’export italiano. Per le imprese italiane è uno sviluppo molto importante, tanto più quando i governi dei paesi Ue sono impegnati in percorsi di aggiustamento dei rispettivi bilanci che hanno intaccato la crescita della domanda aggregata.
Nel 2013 gli Investimenti diretti esteri (Ide) crescono sia in entrata sia in uscita. Gli investimenti italiani all’estero aumentano da 6 a quasi 24 mld grazie alla componente dei prestiti intrasocietari, mentre gli investimenti esteri in Italia passano da un valore quasi nullo a circa 12 mld, poco più dell’1% dei flussi Ide in entrata nel mondo. Anche in termini di consistenza, la quota italiana (pari a circa l’1,6% del totale mondiale) è molto inferiore al potenziale economico del paese, a riprova della sua scarsa capacità attrattiva. Su questa incidono fattori strutturali che da tempo penalizzano l’Italia: burocrazia, complessità del sistema normativo, lentezza della giustizia.
La ripresa dell’accumulazione di capitale è ritardata dall’elevata incertezza circa le prospettive della domanda e della situazione economica generale. I consumi delle famiglie, se tornano a crescere lentamente nel primo semestre 2014, scontano il peggioramento rilevato in estate delle opinioni delle famiglie sul quadro economico benché, fra giugno e agosto, la produzione industriale nei settori di beni di consumo abbia accelerato.
Il mercato del lavoro si stabilizza e l’occupazione ha ripreso a crescere in primavera prima di arrestarsi in estate. A settembre il tasso di disoccupazione è stato del 12,6% (+0,1% su agosto), mentre il tasso di disoccupazione dei 15-24enni (giovanile) era pari al 42,9%, in calo di 0,8 punti percentuali rispetto ad agosto (43,7%) ma in aumento (+1,9%) su base annua. A settembre l’occupazione (22 milioni 457mila) è cresciuta dello 0,4% su base mensile (+82mila unità) e dello 0,6% su base annua (+130mila). La bassa intensità di utilizzo della manodopera e le aspettative delle imprese delineano delle prospettive ancora incerte.
L’inflazione è leggermente negativa in agosto e settembre: il rischio è che un periodo prolungato di bassa inflazione, se non di calo dei prezzi, metta a repentaglio le aspettative con effetti sfavorevoli sul livello dei tassi di interesse reali e sull’andamento del rapporto debito/Pil.
A fine settembre il Governo ha aggiornato le previsioni di finanza pubblica di aprile alla luce del peggioramento del quadro macroeconomico: ha confermato l’impegno a mantenere il deficit entro il 3% ma rallentando il percorso di avvicinamento all’obiettivo di medio termine e di riduzione del debito. L’indebitamento netto è cresciuto del +0,7% sul Pil, toccando il 2,9%. Secondo Banca d’Italia, le scelte del Governo appaiono fondate perché solo un processo graduale di riequilibrio dei conti potrà evitare una spirale recessiva della domanda, soprattutto se i margini di manovra disponibili saranno impiegati per rilanciare gli investimenti. Bene quindi gli sgravi fiscali sul costo del lavoro e la conferma in via permanente del credito d’imposta a favore dei redditi medio-bassi.
Per ripartire serve la ripresa della domanda interna: le esportazioni da sole non bastano, soprattutto viste le molteplici crisi internazionali in atto (anche se negli ultimi anni avevano sostenuto la crescita del Pil). Ma sul rapporto investimenti-consumi, l’ex amministratore delegato di Finmeccanica Alessandro Pansa (Limes, 11-14) precisa che le politiche di sostegno della domanda fondate sull’attuale modello di consumo potrebbero non determinare un aumento automatico della produzione interna e tantomeno della produttività, dal momento che l’Italia importa la maggior parte dei beni a più elevato valore unitario (es: orologi, computer, telefoni, televisori, lavatrici). Il paese infatti vive una crisi strutturale che ha colpito in pieno il suo settore industriale (per esempio, ha perso il treno della microelettronica e non è stato stato in grado di inserirla nei prodotti e nei servizi offerti dalle imprese) e che si lega alla bassa produttività del lavoro che può essere aumentata soltanto accumulando capitale (fisico e umano).
Questi problemi sono spiegati da alcuni fattori:
– L’assenza di un sistema borsistico sviluppato. In Italia ci sono: 1) imprese piccole che non si quotano perché hanno paura di essere rilevate; 2) preferenze per il sistema bancario e delle fondazioni (ci si finanzia tramite i prestiti delle banche e non si corre il rischio di perdere la maggioranza); 3) i titoli di Stato che fanno la concorrenza alle obbligazioni aziendali.
– La mentalità degli imprenditori che fra rendita e investimento sceglievano la prima (es.: Benetton che compera Autostrade);
– L’indebolimento della grande industria;
– Un doppio shock: 1) con l’euro la fine degli aiuti di Stato e delle svalutazioni competitive; 2) con la globalizzazione la concorrenza nei nostri stessi settori merceologici da parte di Stati di nuova industrializzazione.