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Handy, Uber e Amazon. Ecco il boom dei servizi on-demand

Un grande business a portata di mano. Letteralmente. Handy è l’applicazione che permette con pochi passi di sbrigare qualsiasi opera di manutenzione e di pulizia della propria casa. Dalle riparazioni a impianti idraulici, Tv, aria condizionata ai traslochi passando per i servizi di tinteggiatura e imbiancaggio, gli interventi sulla rete elettrica e la pulizia domestica e di uffici, Handy mette a disposizione dei suoi clienti un portafoglio di 5.000 esperti (principalmente lavoratori autonomi) che guadagnano una media di 18 dollari l’ora.

La società, che fornisce servizi ICT in 29 delle maggiori città degli Stati Uniti, così come a Toronto, Vancouver e in sei città britanniche, afferma che la maggior parte dei suoi operatori sceglie di lavorare tra le cinque e 35 ore a settimana, e che il 20% di questi guadagna 2,500 dollari al mese. L’azienda dispone complessivamente di 200 impiegati a tempo pieno e ha impiegato 40 milioni di dollari in capitale di rischio.

LA GALASSIA DEI SERVIZI ON-DEMAND

Fondata nel 2011, Handy fa parte di quella categoria di start-up che mette in relazione con estrema immediatezza lavoro e liberi professionisti, fornendo offerte di lavoro e servizi su richiesta e nasce nel centro di gravità permanente dell’economia on-demand: San Francisco che assieme a New York ha lanciato servizi come Homejoy, Instacart, Washio, BloomThat, Fancy Hands, TaskRabbit, Shyp Will e SpoonRocket. Tutti ispirati al più famoso Uber, fondato nel 2009 e attivo in 53 Paesi, che fornisce un servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un’applicazione che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti. Gli esperti dicono che nel 2014 ha totalizzato vendite per un miliardo di dollari e secondo la società di venture capital SherpaVentures, Uber e altre due aziende di car service (Lyft e Sidecar) hanno fatturato nel 2013 e solo a San Francisco, 140 milioni di dollari. La metà di quanto incassato dalle compagnie di taxi. Cifre notevoli per il mercato di riferimento.

UNA NUOVA FORMA DI ECONOMIA

Il boom dell’economia on-demand rappresenta un tassello importante della profonda trasformazione che sta vivendo la società occidentale. Utilizzare lo smartphone come strumento per fornire lavoro e offrire servizi sfida, di fatto, molti degli assiomi del capitalismo del ventesimo secolo, e mette in discussione la natura dell’impresa e la strutturazione delle carriere.

Ma le opportunità che le nuove tecnologie offrono per mettere in contatto domanda e offerta di lavoro, risalgono a tempi precedenti la “rivoluzione Uber”. Basti pensare a Topcoder che, fondata nel 2001 per fare da vetrina ai programmatori, è stata poi acquistata dalla società di cloud-service Appirio ora specializzata nella fornitura di servizi ai programmatori freelance. Ma i cambiamenti riguardano anche le professioni. Solo per fare un esempio, Eden McCallum – fondata a Londra nel 2000 – può attingere a una rete di 500 professionisti freelance per offrire servizi di consulenza ad un decimo del costo di quanto farebbero grandi società come McKinsey.

Il servizio on-demand più sorprendente di tutti è senz’altro Amazon Mechanical Turk. Si tratta una piattaforma di crowdsourcing che permette ai programmatori informatici (conosciuti come requester) di coordinare l’uso di intelligenze umane per eseguire compiti che i computer, a oggi, non sono in grado di fare. I Requester possono pubblicare obiettivi conosciuti come HIT (Human Intelligence Tasks), come identificare gli artisti in un cd musicale, le migliori fotografie di un negozio, la scrittura delle descrizioni di un prodotto. I Worker o informalmente Turker possono ricercare tra gli obiettivi esistenti e completarli in cambio di un pagamento deciso dal requester. Ovviamente tutto questo non richiede né uffici né contratti di lavoro.

EVOLUZIONE DEL MERCATO DEL LAVORO E CRISI DEL “POSTO FISSO”

L’idea che avere un buon lavoro sia sinonimo di “posto fisso” in azienda con relative tutele sindacali, bonus e aumenti salariali è un retaggio del periodo compreso tra il 1880 e il 1980. Questo modello è entrato in crisi negli anni ’70 a causa del deterioramento delle relazioni industriali, della globalizzazione e della diffusione del computer e delle tecnologie e ha reso il lavoro molto meno sicuro e, di conseguenza, molto più flessibile. L’economia on-demand è il risultato, perciò, dell’unione tra la forza lavoro e gli smartphone, che insieme hanno un potere di elaborazione dei dati molto più potente dei desktop inventati negli anni ’90 e coinvolgono un maggior numero di persone.

CAUSE ED EFFETTI DELL’ECONOMIA ON-DEMAND

Secondo la visione dello studioso Ronald Coase, le imprese hanno senso di esistere se il costo dell’organizzazione interna è inferiore al costo di acquisto dei beni sul mercato. Ora che la maggior parte della gente è sempre connessa, in qualsiasi momento e circostanza, i costi di transazione coinvolti nella ricerca di personale si abbassano notevolmente. Questo tipo di impostazione porta con sé delle conseguenze:

– Una riguarda l’ulteriore divisione del lavoro: la tecnologia informatica sta producendo un’epoca di iper-specializzazione.

– Un’altra è la possibilità di sfruttare la cosiddetta capacità sottoutilizzata. E ciò si applica non solo al tempo ma anche ai beni delle persone: se non possiedi una macchina non puoi guidare per Uber o Lyft.  L’economia on-demand, infatti, è per molti versi una continuazione di quello che è stata definita la “sharing economy”.

Nonostante gli innumerevoli aspetti positivi di progetti come Handy, ci sono ragioni per credere che molti di questi servizi non supereranno di molto la soglia di successo raggiunta da Uber. Questo per tre ragioni:

– le aziende on-demand cercano di mantenere costi bassi per i clienti a danno della formazione, della gestione e della motivazione dei lavoratori;

– possono essere soggette a problemi di carattere normativo relativamente ai dipendenti (tassazione, riclassificazione dei lavoratori come impiegati ecc.);

– il terzo problema è la dimensione. Il modello on-demand subisce gli effetti della Rete: non essendoci per i lavoratori barriere di accesso alla professione e non avendo firmato alcun contratto, che implica fedeltà all’azienda, il numero dei lavoratori disponibili può variare, inficiando la qualità del lavoro della società stessa.

PROSPETTIVE PER IL FUTURO

Che quadro emerge, insomma, dal modello di cui si fa portatrice l’economia on-demand? C’è chi, animato da pessimismo, teme che presto si creeranno file interminabili e disperate di disoccupati, e chi invece crede che un sistema più flessibile permetterà di gestire in maniera autonoma il proprio lavoro, lasciando spazio ad altre attività e al tempo da dedicare alla famiglia. Ma non bisogna, in ogni caso, pensare che sia stata l’economia on-demand a minare la stabilità del lavoro tradizionalmente inteso, introducendo la figura del lavoratore occasionale. Semmai risulta essere una soluzione per quanti – soprattutto i più giovani – sono in una condizione di disoccupazione o non riescono ad arrivare a fine mese.

Di certo, però, è un modello che contribuirà a ridurre ulteriormente i diritti dei lavoratori, nel senso più largo del termine, e accentuerà la propensione ad essere autosufficienti per quanto riguarda l’aggiornamento professionale e le possibilità di fare avanzamenti di carriera. Le istituzioni, dal canto loro, dovranno semplificare un sistema che al momento è ingessato e totalmente anacronistico, snellendo i sistemi normativi complessi, e facilitando la gestione della previdenza e della sanità per lavoratori e cittadini.


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