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Nando dalla Chiesa e il Manifesto dell’Antimafia

Tratto dal mio blog “ArabaFenice“, 03.01.2015:

Quando ho letto il libro di Nando dalla Chiesa dal titolo “Manifesto dell’Antimafia” ho avvertito una sensazione positiva di conferma rispetto a tanti aspetti teorici e pratici che già nella mia mente poco “istruita” sulla materia erano già presenti, e tante cose nuove che mi hanno aiutato nella migliore comprensione di un fenomeno che, purtroppo, è tutt’altro che “passato”.

Sul tema della “mafia” si sentono cose di ogni genere: dall’articolo ultimo di Fedez (un rapper) che titola “mafia non sei più cool” (facendomi porre la domanda: perché prima la era?), alle miriadi di associazioni più o meno improvvisate che si dicono “contro la mafia”, a politici, giornalisti o intellettuali che ci dicono, come scrive proprio dalla Chiesa, che “la mafia non ha più la coppola” e che “non è più come prima” o che è un fenomeno meramente regionale o superato, ecc…

Ognuno ha evidentemente il diritto di dire ciò che pensa, appare però evidente che questo è vero specie se le cose non si conoscono. Il libro di Nando dalla Chiesa è una rivoluzione in questo senso: l’autore è un professore di sociologia delle organizzazioni all’Università di Milano ed è, si può dire senza troppa piaggeria, il massimo esperto del fenomeno mafioso in Italia. Il libro è anche una critica molto forte e per niente celata a tutti coloro che, direttamente o indirettamente, consapevolmente o non consapevolmente, in buona o cattiva fede, hanno concorso (e tutt’ora lo fanno) a generare confusione e fraintendimenti su un fenomeno drammaticamente ancora presente e sempre meno conosciuto, anche grazie a quel manipolo d’esperti improvvisati che ogni giorno ci viene a parlare di cose che non sa.

I punti che dalla Chiesa identifica come elementi costitutivi e ispiratori di questo manifesto sono quattro: 1) [la lotta alla mafia] non è solo o soprattutto questione di magistrati e forze dell’ordine; 2) non è fenomeno che interessa direttamente solo tre o quattro regioni d’Italia, 3) non consiste solo in un pacifico e indolore processo di educazione alla legalità delle future generazioni; 4) non può esaurirsi nella denuncia per quanto informata e sistematica di malefatte e collusioni.

E mi pare molto chiaro anche lo scopo più generale del lavoro. Scopo che trovo esplicitato in questo passaggio: “il Manifesto porta insomma a sintesi un’eterogenea mole di esperienze di vita per dare al lettore uno schema di riferimento agile e non convenzionale. Utile, si spera, sul piano dell’intelligenza delle cose e dell’orientamento delle condotte civili” (dalla Chiesa, Prefazione, p.X, 2014).

Contenuto del libro 

Il primo capitolo del libro si apre con questa affermazione: “la prima condizione per vincere una guerra è combatterla” (p.3) e nella sua semplicità racchiude il senso complessivo dello sforzo che è necessario compiere per poter davvero affrontare questo fenomeno in modo serio e definitivo.

Quello che l’autore ci dice è che, malgrado la nostra storia particolare, malgrado i tanti casi di violenza e di corruzione riconducibili appunto alla mafia siciliana prima e alla Camorra e la ‘ndrangeheta poi (specie al Nord), vige una generale ignoranza del fenomeno e del “nemico”. Scrive dalla Chiesa (p.3) che “la società italiana non ha affatto la consapevolezza che la guerra è in corso. Non ne afferra la sostanza, le modalità, le vere implicazioni” e c’è da chiedersi perché. Sempre per l’autore sono tre i motivi generali di tale “ignoranza”: 1) insufficienza culturale, che non ha a che vedere con il mero titolo di studio; 2) l’abulia morale, 3) perché non scorge il pericolo, poiché l’Antistato (la Mafia) non le risulta così tanto anti-Stato.

A causa di questo stato delle cose, dalla Chiesa afferma che “la forza della mafia sta fuori dalla mafia” (p.30) poiché essa trae benefici enormi proprio dall’ignoranza e dalla sua ormai evidente “invisibilità”. La battaglia quindi è lungi da essere conclusa.

Questo protrarsi dello scontro è determinato dalla “vittoria delle 3 C” ossia il fatto che il sistema veda costantemente il successo di tre categorie antropologiche che, sempre secondo dalla Chiesa (p.31) sono decisive per la vittoria della mafia: i Complici, i Codardi e i Cretini.

Proprio su quest’ultima categoria mi sembra utile soffermarsi, poiché per le prime due è abbastanza evidente il senso. L’ultima categoria invece è quella ontologicamente più interessante e purtroppo più pericolosa. Dalla Chiesa (p.33) riporta una citazione di un colloquio tra un magistrato romano e Frank Coppola:

“Signor Coppola, che cosa è la Mafia?”

“Signor giudice, tre magistrati vorrebbero oggi diventare Procuratore della Repubblica. Uno è intelligentissimo, il secondo gode dell’appoggio dei partiti di governo, il terzo è un cretino, ma proprio lui otterrà il posto. Questa è la mafia…

E continua dalla Chiesa “il bisogno e la disponibilità di cretini. Qui sta la chiave di tutto, prima ancora che nelle complicità intenzionali o nelle affinità morali. Che in termini sociologici può essere così tematizzata: quale rapporto esiste tra la mafia e l’ampiezza della multiforme comunità dei cretini?”.

Su questo aspetto mi fermo perché non posso riassumere qua il contenuto complessivo del libro, che suggerisco a chiunque, specie a chi si considera esperto in materia senza esserlo, di comprare e leggere.

Considerazioni conclusive

Il senso generale del libro, per lo meno dalla mia interpretazione, è che la mafia così come le associazioni criminose in senso più ampio, può essere sconfitta solo se la società civile, il cerchio esterno delle relazioni (p.42), si trasforma radicalmente nelle sue condotte civili e nel suo modo di concepire la realtà. Quella palude di comportamenti irresponsabili, dannosi, furbi e sempre al limite del lecito, sono l’humus perfetto per far attecchire il seme mafioso e sostenerlo nel suo sviluppo.

Quello che serve è appunto una cultura della legalità che trasformi radicalmente la società italiana. Questo deve avvenire da noi, una trasformazione bottom-up. Per cui io stesso devo essere il primo a rispettare le regole, a non essere utile idiota e cretino al servizio (a mia insaputa) delle trame criminose altrui. Questo significa essere nella società, partecipare attivamente e positivamente al cambiamento complessivo dell’intero sistema.

In senso molto più generale, ampio, mi viene da dire che la Mafia può essere sconfitta solo quando il valore della Legalità viene riconosciuto in primis da ciascun cittadino italiano, quando vengono sostenuti e premiati soggetti onorabili, degni, corretti nelle istituzioni e subito condannati quelli che sbagliano, anche il minimo errore. Il familismo amorale, quello che cito incessantemente e che anche dalla Chiesa cita nel suo libro, è il nostro grosso problema. Non è il solo, per carità. Ma una cultura civica più progredita e sensibile al senso di legalità, giustizia e rispetto delle regole, può solo essere un passo avanti verso la distruzione di quelle sacche criminali che ancora oggi sono associate, culturalmente ancor prima che fattivamente, al nostro essere italiani.

Buona lettura!



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