Ha ragione Lucrezia Reichlin: dalla crisi del debito si esce solo affrontandola tutti insieme con spirito cooperativo. E per questo l’economista propone oggi dalle colonne del Corriere della Sera una conferenza internazionale, evocando quella tenuta a Londra nel 1953 che dimezzò i debiti di guerra della Germania. La probabile vittoria alle prossime elezioni di Tspras che non vuole uscire dall’euro, ma chiede di rinegoziare su basi più favorevoli (nei tempi e nei costi) i debiti sovrani, rende più urgente la questione. Tuttavia, non c’è solo la crisi greca a confermare quanto sia sbagliato affrontare il toro prendendolo per la coda con scorciatoie tecnicistiche e ipocrisie rigoriste; c’è soprattutto la lezione della storia.
Il Cancelliere dello Scacchiere George Osborne poco prima di Natale ha deciso di rimborsare quest’anno quel che resta dei debiti della prima guerra mondiale e soprattutto di sistemare le partite aperte nel XVIII e nel XIX secolo. Sì, non è un errore di stampa. Circolano in Gran Bretagna e nel mondo titoli emessi per compensare i proprietari di schiavi o persino quelli legati alla bolla dei Mari del sud che nel 1720 mise in crisi la nascente potenza finanziaria e mercantile dell’Impero. Il Tesoro paga interessi del 4% in un mondo in cui il costo del denaro è vicino allo zero
E’ la più papale dimostrazione di quanto sia difficile scalare la montagna dei debiti accumulati nel mondo nel corso di una storia che, come abbiamo visto, risale addirittura a poco dopo la scoperta dell’America. Certo, l’Inghilterra può trattare perché nessuno mette in discussione la solidità del Tesoro di Sua Maestà. Ma non è stato sempre così, nemmeno per chi ha vinto le guerre, figuriamoci per chi le ha perse.
La Germania ha fatto fallimento due volte nell’ultimo secolo e ha pagato nel 2010 l’ultima tranche dei debiti contratti per finanziare il primo conflitto mondiale, nonostante le concessioni ottenute alla conferenza di Londra; quindi sa bene che il sovra-indebitamento non si risolve facilmente .
Per restare ai giorni nostri, è evidente a tutti che il debito nell’Eurozona, logicamente e cronologicamente, ha almeno tre varianti. C’è il debito storico che risale a prima dell’ingresso nella moneta unica e va affrontato in modo diverso dal debito accumulato in risposta alla crisi del 2008 (in media sono trenta punti di pil). Ma esiste anche un debito che non serve a finanziare le spese correnti e gli ammortizzatori sociali, bensì a investire nel futuro. Possiamo chiamarlo “debito virtuoso”, eppure non vuole entrare nella testa dei governanti europei, nonostante il vecchio Continente stia diventando ancora più vecchio, lento, sclerotico. La divergenza con gli Stati Uniti per tasso di innovazione è abissale. Ma se continua così, l’Europa verrà sorpassata anche dalla Cina. E non è una questione da economisti.
La crescita della produttività totale dei fattori è l’indice che rappresenta nel modo migliore l’andamento degli standard di vita nel medio-lungo termine. Ebbene, oggi è più basso rispetto al 1980 non solo in Italia, Spagna e Francia, ma anche nella Germania che viene presentata come modello da seguire. In media, lo stesso indice negli Stati Uniti è superiore del 35%. Non è sempre stato così, perché a partire dagli anni ’50, in quelli che i francesi chiamano i “Trenta gloriosi”, l’Europa aveva ridotto il gap con l’America del Nord. Se non è decadimento questo. Eppure Jean-Claude Juncker propone un cosiddetto piano ridicolo, con pochi soldi, senza progetti davvero strategici. Vogliamo continuare a farci del male da soli?
Stefano Cingolani