Dal primo gennaio in 20 Stati americani, oltre al distretto di Washington, è aumentato il salario minimo dei lavoratori.
In 9 Stati si è trattato di un semplice adeguamento del salario all’inflazione, mentre negli altri 11 e nel distretto di Washington sono state approvate leggi specifiche che portano il salario minimo dagli attuali 7,25 dollari all’ora – previsti a livello federale – a una misura compresa tra i 9 dollari di Massachusetts e Rhode Island e i 9,47 dollari di Washington D.C.
In alcuni Stati gli aumenti saranno scaglionati e i salari minimi raggiungeranno, come in Massachusetts, anche gli 11 dollari nel 2017.
Intanto nel corso del 2015 saranno in totale 29 gli Stati americani che adotteranno un salario minimo orario superiore a quello federale, mentre tuttora nel Congresso è in atto uno scontro tra Democratici che vorrebbero portarlo a 10,10 dollari e i Repubblicani che resistono strenuamente.
Negli Stati Uniti il salario minimo, che in Italia non esiste ma è surrogato dai contratti nazionali di lavoro, è stato introdotto nel 1938 e l’ultimo aggiornamento risale al 2007.
Gli aumenti riguarderanno 3,1 milioni di lavoratori e giungono in una situazione davvero difficile non solo per chi non ha un lavoro, ma anche per chi un lavoro ce l’ha già e riceve una retribuzione al minimo. Basti pensare che nel corso del 2013 metà delle persone che hanno usufruito di mense per i poveri sono state persone provenienti da famiglie monoreddito con un salario minimo.
Nonostante molti sondaggi abbiano certificato la forte popolarità della scelta di incrementare il salario minimo in molti Stati, inclusi quelli governati dai Repubblicani, le associazioni dei datori di lavoro americane si sono opposte duramente agli incrementi dei minimi salariali sostenendo come inevitabile conseguenza la prossima perdita di molti posti di lavoro.
Non si tratterà di un ricorso massiccio ai licenziamenti ma, come ha dichiarato al New York Times Jack Mozloom, portavoce della National Federation of Independent Business, lo scenario più probabile sarà quello caratterizzato dalla tendenza a evitare la creazione di nuovi posti di lavoro.
In pratica non verranno sostituiti i lavoratori che lasciano il lavoro e ci sarà una maggiore propensione ad automatizzare i processi produttivi in modo da non assumere nuove persone.
Di analoga opinione l’economista Gary Burtless, che stima in 1,6 miliardi di dollari il costo degli incrementi salariali per il prossimo anno ma è convinto che questa cifra sarà più che compensata dalla perdita di posti di lavoro.
Un rappresentante di Walmart, il più grande datore di lavoro del Paese, sostiene invece la possibilità di “assorbire i costi” senza conseguenze per i prezzi o per i livelli occupazionali.
E’ tuttavia vero, secondo alcuni osservatori, che l’incremento del salario minimo orario si colloca in una fase della storia economica del Paese che vede di gran lunga superate le stime più ottimistiche e che vede gli Stati Uniti entrare nel 2015 con lo slancio maggiore dell’ultimo decennio e come il più forte dei Paesi industrializzati.
I 2,7 milioni di posti di lavoro creati nel 2014 rappresentano il miglior dato sotto il profilo della crescita occupazionale dal 1999. La produzione ha registrato i migliori risultati dal 2003, mentre il ricorso ai sussidi di disoccupazione non è mai stato così basso negli ultimi 15 anni.
Il Wall Street Journal si chiede se gli Usa riusciranno a far uscire gli altri Paesi dalle difficoltà economiche.
Le maggiori preoccupazioni statunitensi sono infatti riferite alle differenti velocità delle economie delle altre nazioni, da quelle dei Paesi produttori di petrolio – di cui si prevede un rallentamento della crescita – a quella cinese – che registra il peggior dato degli ultimi cinque anni -, da quella giapponese – nuovamente in recessione – a quella di un’Europa in letargo e con situazioni critiche, come quella italiana.
Inoltre la Banca Centrale Europea e la Banca del Giappone possono vedere i loro obiettivi di crescita economica compromessi dal calo dell’inflazione. Pesano anche sulla crescita economica di Europa e Giappone l’invecchiamento della popolazione e gli enormi debiti pubblici. E mentre la Federal Reserve inizia una stretta creditizia, entrambi viaggiano verso un ulteriore allentamento della stretta monetaria nel 2015.