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Alcune considerazioni sull’immigrazione dopo la strage di Charlie Hebdo

Come Presidente di TutteperItalia e blogger di Formiche.net oggi ieri domani sono Charlie, non c’è dubbio: non ho la bandiera francese da esporre al balcone ma urlo a voce alta il sentimento di vicinanza con il coraggio che ci vuole e la determinazione di combattere questi terroristi. E non mi piace neanche che si dica semplicemente agli italiani, che non dobbiamo avere paura perché il terrorismo e non solo dei jiadisti, c’è, incombe e dobbiamo comunque combatterlo, con la forza delle idee e la coerenza del fare.

Sono assolutamente contraria alla violenza e al fanatismo e quindi rigorosamente contro i barbari che hanno ucciso a Parigi, e mi sento molto più coraggiosa e sincera di tanti soloni stanchi e opportunisti uditi in Tv; ritengo anche e comunque che la volgarità della satira, qualsiasi satira compresa spesso quella di alcuni giornali nostrani (il Male per esempio) per molti aspetti sia non condivisibile (vignette allucinanti, volgari oltre ogni limite e comunque spesso semplicemente orrende) e voglio poterlo dire senza passare per reazionaria.

Cristo in croce è morto anche per quelli che lo insultavano e noi, a differenza di Voltaire che faceva solo accademia verbale, la vita, perché un altro possa vivere ed esprimersi se è contro di noi, siamo realmente disposti a darla? Incluso Charlie oggi, domani per il nostro Paese? O per le riforme di cui abbiamo bisogno? Non sono disposta a dare l’altra guancia, no visto il futuro terribile di guerra che potrebbe attendere noi, i nostri figli e nipoti. Desidero ricordare quanto (da me totalmente condiviso), affermato dal Cardinale Biffi nel lontano ma vicinissimo 2001 il 20 settembre 2001, nove giorni dopo l’attacco terroristico su New York e Washington a proposito del terrorismo islamico e del rischio di una immigrazione incontrollata.

“Tre convincimenti esprimo anche nei confronti dello Stato italiano.
1. Di fronte al fenomeno dell’immigrazione, lo Stato non può sottrarsi al dovere di regolamentarlo positivamente con progetti realistici (circa il lavoro, l’abitazione, l’inserimento sociale), che mirino al vero bene sia dei nuovi arrivati sia delle nostre popolazioni.
2. Poiché non è pensabile che si possano accogliere tutti, è ovvio che si imponga una selezione. La responsabilità di scegliere non può essere che dello Stato italiano, non di altri; e tanto meno si può consentire che la selezione sia di fatto lasciata al caso o, peggio,alla prepotenza.
3. I criteri di scelta non dovranno essere unicamente economici e previdenziali: criterio determinante dovrà essere quello della più facile integrabilità nel nostro tessuto nazionale o quanto meno di una prevedibile coesistenza non conflittuale. Un “ecumenismo politico” (per così dire), astratto e imprevidente, che disattendesse questa elementare regola di buon senso amministrativo, potrebbe preparare anche per il nostro popolo un futuro di lacrime e di sangue.
“Ho la presunzione- continua il Cardinale – di avere con ciò enunciato in termini estremamente chiari delle proposte del tutto ragionevoli anzi, se si vuole, laicamente” ragionevoli. E moltissimi le hanno intese e apprezzate. Mi sfugge invece come sia stato possibile muovere a questa posizione da parte di altri accuse come quelle di integralismo, di prevaricazione clericale, di intolleranza, di atteggiamento antievangelico, eccetera. Quella dell’immigrazione è una questione difficile e complessa, e va affrontata con serietà di informazione e di indagine. Non si tratta perciò soltanto di leggere ciò che si vuol contestare (che è il minimo che si deve fare); bisogna anche – per dirla col Manzoni – osservare, ascoltare, paragonare, pensare, prima di parlare”.

Ecco con ciò personalmente non mi confronto con il terrorismo sanguinario con un Islam incontrollato e deploro uno Stato debole che non sa difendere la sua tradizione cristiana.



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