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Parigi e dintorni. La sottomissione dell’Occidente e una certa idea di laicitè

Siamo tutti islamici. E non nel senso della solidarietà e della vicinanza ai carnefici dei vignettisti di Charlie Hebdo. Lo siamo perché, tranne qualche rara eccezione, i commenti e le analisi che si sono letti in questi giorni sui fatti di Parigi dimostrano, caso mai ce ne fosse bisogno, quanto siamo immersi in una cappa di paura, viltà e abbandono al nichilismo, tale da renderci di fatto sottomessi ad un conformismo miope e religiosamente corretto, anzi meglio, islamicamente corretto. Ma cos’altro vogliono dire paura e sottomissione se non che l’occidente ha ormai imboccato la via di un “islamismo anonimo”, per parafrasare K. Rahner, di ordine culturale prima ancora che confessionale, e per questo forse ancora più pericoloso? Non si spiega altrimenti la ridda dei distinguo, delle contestualizzazioni, delle problematizzazioni, che come un riflesso pavloviano immancabilmente scattano ogni volta che la cronaca ci costringe a fare i conti con tragedie come quelli di Parigi, il più delle volte per mettere a tacere i (falsi) sensi di colpa della nostra coscienza collettiva. Il campionario dei luoghi comuni è assai variegato, ma a voler stringere i refrains che fanno da cornice a tutto il resto sono due: 1) una lettura dell’Islam per cui il “vero” Islam è pacifico e moderato; 2) la riproposizione del dialogo come via maestra per disinnescare ogni potenziale conflitto. E non serve che la storia, anche recente (vedi gli attentati di Londra e Madrid, per restare in Europa), abbia dimostrato l’inconsistenza degli assunti di cui sopra; come automi che non vedono, o non vogliono vedere, quando accade la tragedia si riaprono i cassetti, si tira fuori per qualche giorno il plot evergreen, e poi tutto torna come prima fino alla prossima strage. E dire che ben prima dell’11 settembre non erano mancati segnali forti e chiari sulle reali intenzioni dell’Islam. Nel libro di Antonio Socci “I nuovi perseguitati”, è riportata la testimonianza di monsignor Giuseppe Bernardini, all’epoca arcivescovo di Smirne, che intervenendo al Sinodo dei Vescovi del 1999 ebbe a dire: « Durante un incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano, un autorevole personaggio musulmano, rivolgendosi ai partecipanti cristiani, disse a un certo punto con calma e sicurezza: “Grazie alle vostre leggi democratiche vi invaderemo; grazie alle vostre leggi religiose vi domineremo”. Parole inequivocabili. Pronunciate durante un “incontro ufficiale sul dialogo islamo-cristiano”, non esattamente un raduno clandestino di combattenti. Eppure, dicevamo, qui da noi, nei paesi delle cosiddette democrazie evolute, non si sente ripetere altro che dialogo, rispetto dell’altro, tolleranza, ecc. E spiace costatare come in nome di un irenismo miope anche molti cattolici abbiano dimenticato, o facciano finta di non sapere, che un cristiano ha l’obbligo morale di evangelizzare, non di dialogare. Anche S. Francesco, per dire, uno dei santi più amati dai cristiani nonché icona, a seconda delle convenienze, di ambientalisti, animalisti, pacifisti e pauperisti a vario titolo, andò in Medio Oriente a seguito dei crociati per annunciare il vangelo al sultano, e non lo fece certo per interesse o bassi scopi politici. Resta il fatto che mentre l’occidente nichilista e compiutamente laicista si trastulla tra dibattiti tavole rotonde e conferenze, dall’altra parte c’era chi parlava, in epoca non sospetta, di invasione e dominio con “calma e sicurezza”. Per tornare ai fatti di Parigi, a costo di essere impopolare bisogna pur dire che la manifestazione oceanica dell’altro giorno aveva un che di stonato, ragion per cui chi scrive non ha aderito idealmente allo slogan “Je suis Charlie”. Una scelta che non ha nulla di snobistico, ma che corrisponde invece a precise motivazioni ben riassunte da un comunicato diffuso dall’Osservatorio internazionale Cardinale van Thuân all’indomani della strage. Innanzitutto, c’è libertà e libertà. “Se si tratta – si legge nel testo dell’Osservatorio – di difendere la libertà e la libertà di espressione in particolare, va bene. Se si tratta, invece, di sposare l’ideologia di “Charlie”, ossia l’ideologia della denigrazione e dello svuotamento contenutistico della libertà di critica allora non aderiamo.” E sotto questo profilo, prosegue la nota, “Il giornale “Charlie Hebdo”, in passato, ha più volte manifestato questa sua ideologia dissacratoria di ogni senso, con pesantissime incursioni anche nella fede cattolica. Noi crediamo nella libertà dentro la verità e nei diritti dentro i doveri. Non crediamo in una libertà anarchica e nichilista.” Il secondo motivo risiede nel fatto che in Francia, spiace dirlo, la tanto decantata libertà di espressione non vale sempre e non vale per tutti: “la libertà di espressione e di parola – dice ancora l’Osservatorio – viene impedita ormai anche nei confronti di chi difende in pubblico la famiglia tra uomo e donna ed esprime la propria convinzione che non sia giusto il riconoscimento delle coppie omosessuali o permettere loro la filiazione tramite la fecondazione eterologa. Su questo le stesse leggi francesi sono limitative della libertà di espressione. Ne sanno qualcosa i tanti che ne hanno giù subito le pesanti conseguenze. La società francese che oggi, giustamente, difende la libertà di espressione, deve fare però fino in fondo i conti con il suo concetto di libertà. C’è intolleranza in molti aspetti di quella cultura che ora manifesta per la difesa della libertà”. E’ giusto e doveroso piangere le vittime di attacchi brutali. E proprio perché non vogliamo che massacri come quello di Parigi si ripetano, è quanto mai urgente che la cara e vecchia Europa metta seriamente in discussione i suoi modelli culturali: “Adottare la filosofia del relativismo religioso – sottolinea l’Osservatorio – e mettere tutte le religioni sullo stesso piano significa disarmarsi verso idee e convinzioni che possono anche portare a questi atti. Il rispetto dovuto a tutte le persone non implica una considerazione qualunquistica della diversità tra le varie religioni”. Chi ha orecchie per intendere, intenda.



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