Sono tornate a casa alle quattro del mattino di venerdì 16 gennaio, dopo cinque mesi e mezzo di prigionia in Siria. E anche se le polemiche sul rapimento non accennano a placarsi, dal presunto riscatto di 12 milioni di euro pagati ai sequestratori (6 milioni, secondo Fiorenza Sarzanini del Corriere della Sera), ai dubbi sorti sulla vera natura della loro attività di cooperanti, passando per il coinvolgimento di terze persone nella vicenda – vedi il presidente della Comunità siriana dell’Emilia Romagna, Yasser Mohammed Tayeb -, l’incubo vero per Greta e Vanessa, le volontarie della ong Horryaty, è finito con l’atterraggio all’aeroporto di Ciampino.
Entrambe nutrivano da tempo la passione per la Siria, tant’è che vi erano state altre due volte con lo scopo – da loro dichiarato – di portare medicinali e offrire aiuto umanitario. L’ultima volta a marzo insieme al loro socio Roberto Andervill, con cui hanno fondato il progetto Horryaty. Ma chi sono veramente queste due giovani ragazze lombarde partite alla volta di terre così ostili all’età di vent’anni? Ecco come si presentano sulla pagina fan di Facebook, unico e solo riferimento ufficiale dell’organizzazione.
VANESSA MARZULLO E LA PASSIONE PER L’ARABO E LA SIRIA
Vanessa Marzullo, 21 anni, originaria di Bergamo è iscritta a Mediazione Linguistica e Culturale e studia inglese e arabo. È una volontaria dell’Organizzazione Internazionale di Soccorso e si dedica alla Siria dal 2012, tramite la diffusione di notizie in blog e social networks. Ha promosso manifestazioni ed eventi in sostegno del popolo siriano, come quello a Bologna nel 2012, periodo in cui faceva parte attivamente del “Comitato 17 novembre”. Proprio durante la manifestazione organizzata per i bambini rifugiati siriani aveva dichiarato a una giornalista: «La prendo come un fatto personale, mi sembra che tocchino dei miei amici. Quando parlano di guerra civile o di terroristi non stanno parlando di persone che non conosco, ma di gente che io ho sentito la sera prima su Skype» e spiega: «La vivo molto dall’interno. Sento che questa cosa è parte di me ormai». L’impegno per la Siria culmina nell’organizzazione e nella nascita del progetto Assistenza sanitaria in Siria – Horryaty.
GRETA RAMELLI, INFERMIERA E VOLONTARIA IN ZAMBIA E CALCUTTA
Greta Ramelli, 20 anni, di Gavirate, studentessa di Scienze Infermieristiche e anche lei volontaria presso l’Organizzazione Internazionale di Soccorso, e operatrice di pronto soccorso. Nel maggio 2011 trascorre 4 mesi in Zambia lavorando come volontaria in tre centri nutrizionali per malati di Aids, incluso alcune settimane presso le missioni dei padri comboniani. Nel dicembre dell’anno successivo trascorre tre settimane a Calcutta, in India, per un progetto di volontariato presso le suore missionarie della carità e visita progetti di assistenza alla popolazione indiana negli slums. La giovane vita costellata di missioni di volontariato prosegue poi con l’impegno per la Siria sia per quanto riguarda l’accoglienza profughi insieme ad altri volontari, sia per attivismo e per aiuti umanitari. Al momento collabora con il Comitato S.O.S. Siria di Varese, l’Associazione delle comunità arabe siriane e Ipsia Varese nel progetto Assistenza sanitaria in Siria – Horryaty.
GLI OBIETTIVI DEL PROGETTO “HORRYATY”
La passione per il volontariato e la terra siriana porta Greta e Vanessa a fondare ad aprile del 2014 la Ong Assistenza sanitaria in Siria – Horryaty (parola che in arabo significa libertà) con Roberto Andervill, 47 anni di Varese, dal 1998 nell’organico di Ipsia Varese, l’Ong delle Acli che si occupa di cooperazione e volontariato all’estero. Il progetto nasce in seguito al sopralluogo nell’area rurale di Idlib, a sud ovest di Aleppo, dove i tre si erano recati «per instaurare un primo rapporto con la popolazione locale – si legge in un post della pagina Facebook – al fine di capire le vere necessità e visitare i luoghi coinvolti nel progetto». Gli obiettivi dell’iniziativa sono due: «Attivare un corso base di primo soccorso e rifornire alcune aree di kit di emergenza di Primo Soccorso corredati di tutto il materiale occorrente – dichiarano su Fb – e garantire ai pazienti malati di patologie croniche di accedere alle giuste terapie rispettando i tempi, dosi e qualità dei farmaci» «Il nostro Progetto – spiegano ancora – si compone così di due parti distinte che verranno portate avanti sia in maniera separata e sia in parallelo, a seconda delle esigenze contingenti in loco».
UNA ONG SENZA STRUTTURA
Ed è proprio il progetto Horryaty a suscitare interrogativi, poiché per come si presenta non ha una struttura tale da giustificare un intervento diretto in zone critiche come quelle siriane. Non ha un sito, né altri riferimenti ma solo una fanpage di Facebook aggiornata sporadicamente con qualche foto e alcuni post in cui viene raccontato l’evolversi del progetto e che presenta una brevissima, quanto poco chiara, dichiarazione d’intenti: “In Italia ci occupiamo di raccolta fondi e sensibilizzazione. In Turchia compriamo gli aiuti e in Siria li gestiamo e distribuiamo in zone diverse”. Horryaty non è annoverata neppure tra le 232 Ong riconosciute dal ministero degli Esteri italiano.
UN’ORGANIZZAZIONE NON RICONOSCIUTA DALLA FARNESINA
«Questa ong non risulta nell’elenco di quelle riconosciute dalla Farnesina», ha spiegato all’Huffington Post Giuseppe Esposito, vicepresidente del Copasir. «Si tratta invece di una piccola organizzazione che avrebbe dovuto operare nell’ambito di altre più strutturate e quindi più sicure». «Horryaty – continua Esposito – ha come finalità aiuti medici e sanitari nei campi profughi. Sappiamo che già qualche mese fa le due ragazze avevano compiuto un primo viaggio. Ma il quadrante iracheno-siriano sta evolvendo rapidamente sempre più nel caos. E accorgimenti di sicurezza sufficienti tre mesi fa non lo sono stati più adesso. Per questo tipo di operazioni dovevano affidarsi ad altre organizzazioni». E aggiunge: «Quando si decide di partire per missioni umanitarie è necessario, indispensabile, muoversi nell’ambito di reti in grado di dare il necessario supporto organizzativo e di copertura. Il loro unico errore è che si sono improvvisate operatrici umanitarie».
IL RITRATTO DI GRETA E VANESSA DI DANIELE RAINERI
Altro elemento di discussione in questi giorni, lasciando da parte la questione del presunto riscatto, è la motivazione che ha spinto le due giovani a lanciarsi in un’impresa tanto complicata avendo a disposizione così pochi mezzi e sostegni. C’è chi, come il giornalista ed esperto di esteri del Foglio Daniele Raineri – che la stessa notte del rapimento è riuscito a scappare verso il confine con la Turchia sfuggendo ai sequestratori di Greta e Vanessa – parlando delle due ragazze ne sottolinea la naturale inclinazione all’impegno umanitario e al volontariato: «Chiunque abbia ascoltato una loro conversazione può confermare questo: parlano di logistica e di soldi, di soldi e logistica, tra loro oppure con altri, al telefonino, su Viber, WhatsApp, Messenger e altri mezzi di comunicazione. Perché il denaro è al centro di ogni possibile iniziativa di assistenza, è quello che fa funzionare gli aiuti in un paese straniero, anche con microdonazioni da dieci euro». E spiega sulle colonne del Foglio: «A volte c’era anche una punta di bruschezza (in loro, ndr) se qualcuno coinvolto nell’assistenza mancava di praticità e prendeva tempo inutilmente. “Noi stiamo offrendo aiuto, se non vuoi non perdiamo tempo”». «Greta e Vanessa parlano anche di persone in Siria – racconta Raineri, che pare conoscerle bene – perché fare volontariato è una questione complicata, hai bisogno di raggiungere una moltitudine di contatti, e loro ne hanno decine in tante province del paese, da Aleppo a Damasco. Ci sono persone che, chiamate da loro in Italia, sono state disponibili a spostare medicinali e a visitare cliniche. Dopo il sequestro, sono arrivate offerte di aiuto da persone sparse in un’area vasta centinaia di chilometri».
LA VERSIONE DI GIAN MICALESSIN
Ma c’è anche chi solleva dei dubbi sul tanto sbandierato impegno umanitario di Greta e Vanessa. Secondo Gian Micalessin, inviato de Il Giornale, stando a quanto emerso dalle intercettazioni telefoniche tra le due ragazze e alcuni fiancheggiatori dei gruppi jihadisti siriani, appare chiaro «come le due ragazzine non ambissero al ruolo di crocerossine neutrali, ma piuttosto a quello di militanti schierate e convinte». Nelle telefonate scambiate prima di partire con Mohammed Yaser Tayeb – scrive Micalessin – Greta Ramelli spiega esplicitamente di voler «offrire supporto al FreeSyrian Army», la sigla che riunisce le formazioni jihadiste non legate al gruppo alaaidista di Jabat Al Nusra o allo Stato Islamico». Poi passa alla questione dell’acquisto di kit mimetici di pronto soccorso che «assomigliavano più a quelli in dotazione a militanti armati o guerriglieri che non a quelli utilizzati da infermieri o personale paramedico civile» e di cui le ragazze, in un post su Fb dedicato alla descrizione dei luoghi dove hanno spedito i viveri, non danno spiegazione di dove siano finiti se non con una semplice abbreviazione: «”B.”, facendo intendere di parlare di un avamposto militare dei gruppi armati il cui nome completo non è divulgabile per ragioni di sicurezza».