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Goldman e Aztec Money, ecco su cosa puntano ora le banche d’affari

Société Générale e Goldman Sachs pronte a sostenere la finanza peer-to-peer di Aztec Money. Le due banche sono solo i nomi più altisonanti in un gruppo di istituti del mondo bancario tradizionale che sta discutendo di un programma per finanziare la piattaforma emergente del prestito P2P. Aztec Money si autodefinisce un “mercato per crediti esigibili e fatture che offre liquidità immediata” in base ai termini stabiliti dallo stesso utente.

AZTEC E L’INTERESSE DI GOLDMAN

La piattaforma online di Aztec Money permette alle aziende di vendere le loro fatture a investitori istituzionali non bancari. Con sede a Dublino Aztec è focalizzata sulle imprese esportatrici, di tutte le dimensioni e in tutte le parti del mondo, cui dà accesso a una rete di investitori interessati a comprare le fatture e fornire in cambio immediato cash flow.

Goldman e le altre banche coinvolte con Aztec starebbero discutendo la possibilità di comprare fatture in massa e offrirle in pacchetti di investimento ai loro clienti. Banche, hedge fund e gestori di asset sarebbero interessati a finanziare una società come Aztec perché cercano investimenti a maggior rendimento e l’opportunità di fare securitizzazione, il noto processo di spostamento degli investimenti finanziari dai depositi bancari a risparmio a titoli obbligazionari e azionari.

Per ora Société Générale, Goldman e Aztec non hanno commentato sulle trattative, che sarebbero in fase iniziale. Un portavoce di SocGen ha però detto che la banca è pronta a “esaminare tutte le innovazioni che migliorano la customer experience e la capacità di finanziare l’economia”.

IL P2P INCONTRA LE BANCHE

Quando le società finanziarie peer-to-peer sono nate, la loro caratteristiche era di aggirare le banche usando tecnologie all’avanguardia per mettere in contatto chi ha soldi da investire con persone o aziende che hanno bisogno di denaro. Ora però la domanda di finanza P2P è cresciuta a tal punto che queste piattaforme stanno cercando alleanze con le banche tradizionali per ottenere fondi in grado di alimentare la loro crescita. Le banche, dal canto loro, cercano strumenti nuovi alleandosi con partner ben dotati di tecnologie. Rivitalizzare il mercato del trade finance potrebbe garantire svariati miliardi di dollari di rendimenti collaterali per la securitizzazione, operazioni attualmente in forte crisi, soprattutto in Europa, dove i volumi sono scesi da 1.200 miliardi di dollari nel 2008 a 286 miliardi nel 2014, secondo la Securities Industry and Financial Markets Association.

Le banche sono già tra gli istituti che hanno comprato prestiti da Lending Club, il maggior sito americano della finanza P2P. In Gran Bretagna, Santander e Royal Bank of Scotland hanno stretto alleanze con società del P2P, come Funding Circle. Queste alleanze sono state viste dai puristi del P2P come un tradimento dello spirito iniziale delle piattaforme che “democratizzano” la finanza, mentre l’interesse suscitato nelle banche tradizionali ha fatto sì che ormai gli executive del settore non parlino più di P2P ma di marketplace lending o non-bank lending.

PERCHE’ IL P2P PIACE A WALL STREET

David Stevenson, caporedattore di AltFinanceNews, ha dichiarato di recente che il settore della finanza P2P sta diventando mainstream, quasi “istituzionale”: “E’ un tipo di asset alternativo ormai riconosciuto”, secondo le sue parole.

I sostenitori delle nuove piattaforme dicono che il mondo bancario tradizionale, con i suoi alti costi per la compliance e l’arretratezza tecnologica, è destinato ad essere stravolto dai nuovi player che entrano sul loro mercato e sono molto più agili e veloci grazie alle tecnologie avanzate. Mentre i sistemi It delle grandi banche si basano in gran parte sui grossi computer mainframe, i mercati finanziari del P2P si basano su Internet e tecnologie come il cloud.

“Le banche sono indietro sulla tecnologia e questo le rallenta nei movimenti”, afferma Matt Burton, fondatore di Orchard, mercato di scambio secondario per prestiti P2P. “Anche nuove propensioni dei consumatori hanno aperto le porte ai nuovi attori online della finanza”.

Grazie a processi automatizzati per le sottoscrizioni e i controlli anti-frode, per le piattaforme del P2P approvare un prestito è questione di minuti. Chi ha bisogno di denaro deve solo andare online e registrarsi senza dover esibire una serie di documenti come richiesto dalle banche. Il credito arriva senza dover affrontare i no e i ritardi di tante banche. Questo processo spedito ha attratto l’interesse di alcuni governi (come a Londra e a Dublino, perché i siti del P2P aiutano soprattutto le piccole imprese e danno una mano a tenere in moto l’economia) e sicuramente di grandi hedge funds, investitori istituzionali e wealth manager a Wall Street che già stanno comprando molti dei prestiti orginati tramite piattaforme di punta come Lending Club e Prosper (i due maggiori prestatori P2P negli Usa). Anche per gli investitori tradizionali gli algoritmi sono un aiuto: grazie a sistemi di rating e classificazione, si sceglie dove investire calcolando rischi e rendimento.

E non si tratta affatto di tradimento della vocazione “dal basso” delle piattaforme peer-to-peer. Quelle di maggior successo non sono affatto nate dall’improvvisazione o da idealisti lontani dal mondo della finanza, ma dagli stessi top manager delle grandi banche che hanno deciso di puntare su imprese innovative. Solo per fare qualche esempio, la citata Orchard è sostenuta da Vikram Pandit, ex Ceo di Citigroup. Quanto ad Aztec Money, il suo Ceo Edwin Hagan-Emmin è un ex di  Morgan Stanley e della stessa Société Générale che ora sarebbe pronta a finanziare Aztec insieme a Goldman e altri.  

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