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Perché l’università Al Azhar ha condannato la barbarie di Isis

“Un atto vile” che richiede l’applicazione delle punizioni previste dalla legge coranica come “la crocifissione o il taglio degli arti”: così ha commentato l’uccisione del pilota giordano al-Kasasbeh da parte dei jihadisti dell’autoproclamatosi Stato Islamico, Ahmed al-Tayeb (nella foto), il Grande Imam di Al-Azhar, la prima università sunnita.

Si tratta di una condanna particolarmente forte in quanto proveniente dalla massima istituzione religiosa dell’Islam sunnita (lo stesso al quale dice di ispirarsi l’Islamic State) che nel corso degli ultimi anni, anche contestualmente alle violenze della Rivoluzione egiziana, ha sempre proposto un’interpretazione non violenta della legge islamica. La transizione costituzionale egiziana ha rafforzato il ruolo di interprete della Sharia di Al Azhar tanto che nella Costituzione post-rivoluzionaria approvata nel 2014, l’art. 7 definisce l’università sunnita come “il riferimento principale […] per gli affari islamici” riconoscendole il compito di diffondere le “scienze religiose […] in Egitto e nel mondo”.

L’uccisione di al-Kasasbeh, nonostante non rappresenti la prima violenza fratricida nei confronti di un musulmano da parte dell’ISIS, ma pur sempre la prima esecuzione di un combattente islamico, ha destato lo sdegno del Grande Imam di Al Azhar che ha dichiarato: “L’Islam proibisce l’uccisione di vite innocenti” aggiungendo che la brutalità dell’uccisione “richiede l’applicazione delle punizioni corporali previste dal Corano per coloro che combattono contro Dio e contro il Profeta”. Anche in un contesto di guerra ha spiegato Al-Tayyeb il musulmano è tenuto a rispettare la dignità umana del nemico sempre, anche quando sotto attacco, senza ricorrere a umiliazioni simili a quella compiuta contro il pilota giordano.

Ancora una volta, le parole di Al-Azhar riescono a sintetizzare efficacemente i sentimenti di tanti musulmani arabi come i cortei giordani che nei giorni passati hanno urlato da Amman la loro richiesta di condanna dello Stato Islamico. La corrispondete di Al Jazeera da Amman Rula Amin ha infatti dichiarato che l’uccisione del pilota ha finito per unificare l’opinione pubblica giordana prima frammentata fra chi era favorevole alla partecipazione della Giordania alla coalizione USA anti-Isis e chi no.

A ribadire lo scollegamento tra la barbarie dell’Isis e l’Islam pure l’International Association of Muslim Scholars che ha sede in Qatar, mentre anche dalla “capitale” spirituale islamica è risuonata la condanna degli attacchi del Califfato da parte del nuovo Re saudita che ha definito al-Kasasbeh un “martire” di un atto violento e inumano che “distorce i valori dell’Islam”.

L’uccisione di al-Kasasbeh è stata condannata anche dai cristiani presenti nella regione e rappresentati dal Catholic Centre for Studies and Media di Amman il cui direttore Rifat Bader ha dichiarato che le “Chiese cristiane del Regno di Giordania esprimono il loro dolore più profondo per il martirio del pilota al-Kasasbeh” appropriandosi così di un’immagine fortemente evocativa della tradizione islamica. “Le chiese – ha continuato padre Rifat Bader – denunciano questo odioso crimine contro l’umanità e chiedono a tutti i cittadini di rafforzare l’unità nazionale sotto la guida del Re Abdullah II” precisando che le religioni devono continuare a costituire “un elemento costruttivo per la pace, l’armonia e l’unità tra le persone piuttosto che rappresentare un fattore di divisione”.


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