La coppia franco-tedesca è partita per Mosca con la sua force de frappe (si fa per dire) ed è tornata con le pive nel sacco. Il blitz diplomatico di Angela Merkel e François Hollande, per quanto animato da buona volontà, è rimasto inconsistente. Non poteva essere altrimenti, anche perché l’Europa è divisa lungo le faglie dei suoi interessi divergenti.
Solo i Paesi del Nord vogliono davvero fronteggiare il nuovo zar con tutti i mezzi. La Gran Bretagna parla, ma non agisce, comunque sembra preoccupata da una lamentosa diatriba isolazionista che ricorda la vecchia battuta sulla nebbia nella Manica. La Francia oscilla tra la storia che la porta verso la Russia e i principi repubblicani che fanno sbraitare i suoi intellettuali. La Germania è indecisa tra gli interessi economici che l’avvicinano a Mosca e quelli geopolitici che la vorrebbero paladina di una emancipazione dell’Est europeo sotto la sua bandiera. L’Italia, che aveva cercato di sdoganare Putin durante i primi anni di Berlusconi al governo, per poi venir gasata dall’asse Eni-Gazprom, adesso non ha carte da giocare.
A questa debolezza di fondo s’aggiunge l’illusione ingenua di poter ottenere quello che gli Stati Uniti hanno mancato. Così, torna una inconsistente velleità di terza forza. Anziché far fronte comune, la Merkel mette zizzania illudendo Mosca di poter trovare una sponda anti-americana; quanto a Hollande provoca solo confusione.
Gli europei non vogliono armare gli ucraini. E in questo hanno ragione: una guerra aperta contro la Russia condotta per interposta persona è pericolosissima, tanto più che gli ucraini non sarebbero in grado di vincere. Ricorda Lucio Caracciolo sulla Repubblica che a Kiev “gli oligarchi continuano a spolpare l’osso di un paese in pieno fervore patriottico, devastato da una crisi economica incontrollabile”.
Dunque, l’amministrazione Obama ha torto anche se la sua posizione è comprensibile: gli Stati Uniti si trovano a combattere su due fronti e per loro è altrettanto pericoloso quello medio-orientale che oggi ha l’Isis come primo obiettivo. Qui trova aiuto dalla Francia e, adesso, dalla Giordania (speriamo che duri). La Turchia ha paura di scatenare i curdi. L’Arabia saudita aspetta, e vedremo se il nuovo re Salman riuscirà a svincolarsi dall’abbraccio wahabita.
In ogni caso, gli Stati Uniti sono disposti a fornire denaro e sostegno aereo, però cercano in loco qualcun altro che combatta al posto loro. La stessa logica vale nell’Europa orientale. Quanto alla Germania, si è chiamata fuori dal Medio oriente e non vuole un conflitto armato sotto casa. Proclama che l’unica soluzione è diplomatica, come ripete anche Federica Mogherini, ma la diplomazia disarmata è impotente.
La divisione tra Germania e Stati Uniti non è solo tattica. In realtà, i due Paesi sono lontani nel giudizio di fondo sulla Russia di Putin: è una democrazia incompiuta o è un regime autoritario in via di compimento? Putin può anche avere ragione in molte cose e l’Occidente deve fare autocritica per non aver compreso che la Russia post comunista aveva bisogno di una sua strada verso la modernità, il mercato e la democrazia. Tuttavia, nessuno può mettere in dubbio che il Cremlino e i suoi boiardi sono quanto di più lontano da un sistema basato sulla legge, i diritti civili, le libertà personali e collettive.
Il salto di qualità degli ultimi anni, cominciato già con le guerre del Caucaso, è che, forte di un consenso interno ottenuto anche con la forza, Putin vuole espandersi fino a riconquistare il controllo, sempre più diretto, di quel che apparteneva all’Unione sovietica dopo la seconda guerra mondiale.
Una nuova cortina di ferro sta calando così sull’Europa, perché è inutile negare che sotto le zampate dell’orso, molti Paesi limitrofi finiranno per piegarsi oppure per diventare il terreno delle scorribande russe. Il grande progetto di una Unione europea che si espande con l’esempio e con il consenso dei popoli, a est e a sud, sta collassando. Proprio mentre entra in crisi anche l’unione monetaria. Raramente l’europeismo ha attraversato un momento peggiore.
Alcuni diranno che la hybris ha allontanato l’Europa dagli Stati Uniti e adesso viene la resa dei conti. Ma è anche vero che la politica estera americana in questi anni non ha avuto alcuna forza di attrazione: l’amministrazione Obama ha navigato senza bussola ed è finita per procedere a zig zag. Recriminazioni a parte, adesso il problema di fondo è come evitare che la crisi ucraina dilaghi. La tattica di Putin è chiara: far sì che la situazione cambi sul terreno manu militari e poi, magari, presentarsi al tavolo delle trattative da posizioni di forza. Sta bluffando? L’unico modo è di andare a vedere senza lasciargli la risorsa per lui più preziosa: il tempo. E a giocare le carte non può essere che la Nato.
Di fronte a questa Russia non c’è alternativa al contenimento. Il quale a sua volta ha bisogno non solo di deterrenza militare, ma di un obiettivo strategico. Bisogna chiarirsi sul confine da non superare, su cosa si può negoziare e su che cosa invece non si deve mollare, riconoscendo gli interessi legittimi di Mosca, ma togliendo subito dal tavolo quelli che legittimi non sono. Inoltre, occorre adoperarsi affinché i Paesi di confine siano solidi economicamente e ben gestiti politicamente. All’interno di una nuova divisione strategica del lavoro, potrebbe essere questo il compito della Unione con alle spalle la potenza militare e finanziaria americana.
Una nuova guerra fredda? E’ già cominciata solo che gli europei rifiutano di crederlo e gli americani non sono ancora attrezzati per sostenerla. Gli uni e gli altri avranno un terribile risveglio.
Stefano Cingolani