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Yemen, perché anche l’Italia fugge dalle violenze degli Houthi

Prima sono stati gli americani, seguiti dai britannici e dai francesi. Oggi invece è stata l’ambasciata italiana a decidere di chiudere i battenti temporalmente per motivi di sicurezza. La Farnesina ha annunciato il rientro dell’ambasciatore Luciano Galli e il personale. La sede diplomatica italiana a San’a resterà temporaneamente chiusa, in attesa che la situazione permetta il ripristino delle attività.

“Il Ministero degli Affari Esteri italiano auspica che gli sforzi di mediazione condotti dall’Inviato delle Nazioni Unite, Jamal Benomar, permettano al più presto il ripristino delle condizioni di sicurezza necessarie per il ritorno nello Yemen”, si legge sul sito della Farnesina. Intanto, l’ambasciata resterà vuota.

Appena gli americani hanno abbandonato lo Yemen, i ribelli del movimento Houthi si sono impadroniti di 25 veicoli dell’ambasciata americana a San’a. Una scena simile a quelle vissute in Iran nel 1979 durante la Rivoluzione islamica.

Lo scorso venerdì gli houthi hanno attaccato il palazzo presidenziale e la capitale è rimasta in mano alle milizie sciite, che continuano a manifestare contro gli islamisti, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna. Anche l’Arabia Saudita ha evacuato oggi l’ambasciata, a seguito dell’aggravarsi delle condizioni di sicurezza.

I ribelli hanno attaccato il palazzo di governo lo scorso venerdì e hanno dichiarato sciolto il Parlamento. Alla base della crisi nello Yemen ci sono le divisioni religiose e tribali. Gli Houthi, sciiti zayditi concentrati nella regione settentrionale di Sadaa, si oppongono al governo centrale e all’esercito, rappresentati dalla coalizione di tribù sunnite Hashid e Ahmar.

Lo scontro nello Yemen coinvolge anche l’Arabia saudita e l’Iran. Gli houthi sono stati sostenuti dall’Iran (maggiormente sciita, anche se di un altro ramo), mentre l’Arabia Saudita appoggiava l’ex presidente Ali Abdullah Saleh.


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