Gradualità, tanta gradualità, anche troppa, al di là dei roboanti slogan del premier Renzi.
La precarietà del lavoro non si cancella con un decreto come fosse una bacchetta magica, meno che mai si può ragionevolmente pensare che questo basti per superare tutti i problemi dei nostri giovani.
Nel suo complesso il Jobs Act rappresenta indubbiamente un passo avanti e tuttavia ci saremmo aspettati più coraggio sulle effettive abolizioni delle forme di precarietà esistenti.
Visto però che questi provvedimenti hanno incontrato il plauso delle organizzazioni imprenditoriali, Confindustria in testa – in particolare per l’abolizione dell’articolo 18 – speriamo almeno che queste si decidano finalmente ad assumere.
L’aver mantenuto in vita il lavoro a chiamata ed i voucher per il lavoro occasionale rappresenta un segnale da seguire attentamente.
In definitiva non si è abolito quasi niente, eccetto due tipologie residuali come le associazioni in partecipazione ed il jobs sharing (ma parliamo appena dello 0,2% degli occupati!). Delle due l’una: o la precarietà da noi era davvero un fenomeno marginale, oppure queste misure non riusciranno affatto ad eliminare la precarietà, che è data in particolare dai contratti a termine.
Dove il governo ha compiuto invece davvero passi in avanti è nella tutela della maternità: resta, certo, ancora molto da fare, ma almeno si è cominciato dalla parte giusta, la famiglia.