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L’Europa come colpa: risposta ad Hadjadj

 

 

 

Il settimanale Tempi ha recentemente tradotto e pubblicato un articolo del filosofo Hadjadj, con un titolo che sembra allarmante:  Abbiamo ragioni forti affinché San Pietro non conosca la stessa sorte di Santa Sofia?.

Alcuni passaggi sono cruciali e vengono messi in rilievo dal filosofo francese come se nessuno avesse risposto alle domande che sono sul piatto, ma così non è. Vedremo in che senso. I brani in oggetto sono quelli che seguono.

“C’è in ogni caso una vanità che dobbiamo smettere di avere ed è di credere che i movimenti islamisti siano movimenti pre-Lumières, barbari come dicevo prima, e che diverranno moderati non appena scopriranno gli splendori del consumismo. In verità sono movimenti  post-Lumières. Essi sanno che le utopie umaniste che si erano sostituite alla fede religiosa sono crollate. E dunque ci si può chiedere con qualche ragione se l’islam non sia il termine dialettico di un’Europa tecno-liberale che ha rifiutato le sue radici greco-latine e le sue ali giudaico-cristiane: e siccome questa Europa non può vivere troppo a lungo senza Dio e senza madri, ma come un bambino viziato non riesce tornare da sua madre la Chiesa, essa acconsente finalmente a darsi a un monoteismo facile, dove il rapporto con la ricchezza è sdrammatizzato, dove la morale sessuale è più debole, dove la postmodernità hi-tech costruisce città radiose come quelle del Qatar. Dio e il capitalismo, le huri dell’harem e i guru del computer, perché non potrebbe essere questo l’ultimo compromesso, la vera fine della storia?

Una cosa mi sembra certa: ciò che c’è di buono nel secolo dei Lumi ormai non può più sussistere senza il Lume dei secoli. Ma riconosceremo che quella Luce è quella del Verbo fatto carne, del Dio fatto uomo, e cioè di una Divinità che non schiaccia l’umano, ma che lo accoglie  nella sua libertà e nella sua debolezza? Questa è la domanda che pongo a voi alla fine: siete romani, ma avete ragioni forti affinché San Pietro non conosca la stessa sorte di Santa-Sofia? Siete italiani, ma siete capaci di battervi per la Divina Commedia, o ne avrete vergogna, visto che Dante, nel XXVIII canto dell’ Inferno, osa mettere Maometto nella nona bolgia dell’ottavo girone?

Infine, siamo europei, ma siamo fieri della nostra bandiera con le sue dodici stelle? Ci ricordiamo ancora del senso di quelle dodici stelle, che rimandano all’Apocalisse di San Giovanni ed alla fede di Schuman e De Gasperi? Bisogna rispondere, o siamo morti: per quale Europa siamo pronti a dare la vita?”

Ora, Hadjadj non lo sa e non lo sa neppure la redazione della rivista Tempi, evidentemente, e naturalmente i giornalisti del settimanale possono stare tranquilli, perché i loro rispettivi confessori avranno a che fare con altri peccati, ma non certo con questo, che è una banale omissione dovuta ad ignoranza, tutto qua.
Sta di fatto che chi scrive e un certo don Gianni Baget Bozzo, collaboratore di punta della rivista, avevano risposto alle domande del filosofo francese. Che noi abbiamo posto, in Rete, sul periodico www.ragionpolitica.it per almeno un lustro, se non di più, ma naturalmente, ripeto, l’ignoranza non è materia di confessione, dunque nessun problema per la salvezza delle anime.

Al cap. VII del saggio Tra nichilismo e Islam, intitolato Il nichilismo e la crisi della modernità, uscito per i tipi della Mondadori, nel 2006 (!), cioè 9 anni prima delle urgenti domande di Hadjadj, la modesta coppia Baget-Iannuzzi aveva scritto: “La diade Stato-politica è il fulcro stabile della modernità e oggi, in un clima esacerbato e fortemente destabilizzato dall’offensiva sistematica del terrorismo islamico, ritorna il tema della sicurezza e, con esso, della forza legittima dello Stato. Ma sorge, a questo punto, una domanda: com’è possibile usare la forza dello Stato, che implica un sottofondo di valori pubblici condivisi, un’etica pubblica d’insieme, una razionalità rispetto allo scopo, se oggi l’unica parola, debolissima, è quella che proviene dalle bocche dei nichilisti?. Questo è il problema, a un tempo politico e culturale, che si impone in Occidente in questo inizio di XXI secolo. In realtà, è certamente vero che la modernità, a partire dagli anni Venti del secolo scorso, si è per così dire suicidata, sprofondando nel più cupo irrazionalismo e nel ghetto intellettuale del nichilismo” (p.45).

Dunque, ponevamo la questione ancora più radicalmente di quanto abbia fatto Hadjadj, andando a toccare anche la posizione stessa della forma-Stato e, a ritroso, pescando le prime emergenze strutturate della cultura nichilistica, gli anni Venti del ‘900.

Ci era noto e chiaro quanto scritto dal filosofo ovvero che il “suicidio della modernità”, tesi dello scrivente sviluppata in un saggio del 2008, era fenomeno già largamente penetrato nelle pieghe del quotidiano e della società, indebolendo gli anticorpi di resistenza culturale e spirituale alle pressioni esterne e rendendo le comunità penetrabili dalla vioelnza e dal verbo apparentemente netto e ultimativo dell’islamismo salafita e jihadista.

Ancora, al cap. VIII del saggio: La crisi del concetto di Occidente come forma di civiltà: “Ma qual è lo status quaestionis? Qual è il problema reale? La verità è che, una volta separata la Cristianità dall’Occidente (…), si apre non solamente una ferita lacerante nel tessuto vivo della cultura e della storia occidentale ed europea, ma si recide anche, alla base, qualsivoglia possibilità di poter dare un significato unitario e magari univoco alla stessa parola “Occidente” ” (p. 50).

Il cap. IX è interamente dedicato al nichilismo. Nichilismo che soffia anche sull’Islam e non perché dialetticamente teso in competizione con l’Occidente, come indica Hadjadj, ma perché la cultura di morte e la stessa matrice teologica islamista salafita in se stessa è nichilistica – e su questo punto invito a leggere l’aureo libretto di Baget – Di fronte all’Islam. Il grande conflitto, ediz. Marietti 1820, 2001 – che ottenne riconoscimenti autentici e scritti in carta pergamena da Benedetto XVI, che fece tesoro di questi pensieri; don Gianni aveva, in bella mostra, nel suo studio, e giustamente, il ringraziamento vergato dal Papa Benedetto -e si tratta di un nichilismo che considera l’altro, detto “infedele”, come non-ente, ridotto al niente delle cose, dunque passibile sempre di annientamento. Un’eresia perfino nella visione coranica.

Il titolo del capitolo è icastico: “Il nichilismo”. E comincia così: “Un fantasma si aggira in Occidente: il nichilismo. Anzi, a dire il vero, ormai questo fantasma ha un corpo reale, delle gambe, agisce quasi autonomamente attraverso il pensiero relativistico del nostro tempo” (p.55). “Il relativismo significa, né più, né meno, che non esiste più la verità. E, si badi, se non esiste più la verità, è davvero impossibile assumere un punto di vista stabile e fondato su tutto ciò che oggi minaccia l’Occidente” (p.58).

Sull’Europa, tirata in ballo costantemente dal filosofo francese: il cap. IV reca come titolo L’Europa come colpa, che è anche il sottotitolo del saggio, quindi avevamo già còlto, dieci anni fa, il nucleo portante che oggi allarmano Hadjadj e il settimanale diretto da Amicone. Ecco l’incipit del capitolo: “L’esito della seconda guerra mondiale è la fine dell’Europa come centro della potenza politica e la sua trasformazione in zone di occupazione da parte americana e sovietica. (…) Dell’Europa che era entrata in guerra nel ’39 non esistono che rovine. Essa è diventata un nulla politico e come nulla politico si pensa. I pensieri dell’identità collettiva e storica vengono cancellati, la storia comincia con l’avvento della democrazia di modello americano o, ancor più radicalmente, con l’avvento del comunismo. Qui inizia il nichilismo come autocoscienza dell’Europa, cioè della sua storia come fallimento e come colpa, come qualcosa che si deve rimuovere per ricevere dall’altro, americano o sovietico, la propria identità” (pp. 26-27). Altro che bandiera a dodici stelle e Schumann e i padri fondatori dell’Europa, le cose stanno diversamente e hanno queste profonde radici. Se l’Europa si autopercepisce come colpa, fin dalla seconda guerra mondiale, e declina in sé per questa ragione dominante, il resto è soltanto una conseguenza. E non si fanno analisi sulle conseguenze, ma andando a reperire le cause. Come annotava il grande Tommaso d’Aquino, “scire est scire per causas”. Conoscere significa conoscere le cause di un fenomeno. Ora Hadjadj e Tempi sanno dove poter attingere qualche elemento in più per scoprire le cause. Buon lavoro.


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