Skip to main content

Che cosa succede sul falso in bilancio

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori, pubblichiamo l’articolo di Angelo De Mattia, apparso su MF/Milano Finanza.

È da valutare positivamente l’accordo che si sarebbe raggiunto nella maggioranza per riformare il reato di falso in bilancio – partendo dal Senato – con l’eliminazione delle soglie di non punibilità e, dunque, configurandolo come reato di pericolo e non di danno, perseguibile d’ufficio. Classicamente, alla commissione di tale illecito dovrebbero concorrere l’«immutatio veri», l’alterazione dei fatti e la «scientia fraudis» per cui occorrerebbe tener conto anche degli errori nei quali sia assente qualsiasi forma di dolo.

Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, ieri, ha dichiarato che non sarà fatta alcuna concessione all’illegalità, ma che si vorrà tener conto della dimensione dell’impresa e della gravità del danno. La previsione, a suo tempo introdotta, delle predette soglie era mirata a valutare gli impatti effettivi dell’alterazione del bilancio – e ciò può costituire una distorsione, a maggior ragione se vi sono componenti di finalità ad personam, considerata la funzione generale di rappresentazione erga omnes del bilancio – ma, in qualche modo, finiva con il coprire anche gli errori, in maniera troppo generosa, tuttavia, e senza un’adeguata dimostrazione. Sicché anche il tener conto dei meri sbagli è diventato sospetto, tale da indurre a credere che questa fosse la porta per farvi transitare più consistenti sanatorie.

Ora, si passerebbe a prevedere un’area di non punibilità penale estremamente ridotta, riguardante imprese con ricavi fino a 600 mila euro, per cui la configurazione dell’illecito come di pericolo resterebbe sostanzialmente valida. Ci si chiede, a questo punto, se vi sia spazio per una individuazione più precisa della ricorrenza di un mero errore nella appostazione in bilancio, mentre proliferano norme e principi contabili anche a livello europeo e internazionale, pur assumendo l’inescusabilità, in linea di massima, dell’ignoranza della legge. Il riferimento del ministro anche alla gravità dell’alterazione ha bisogno di essere meglio esplicitato perché potrebbe riguardare esclusivamente gli errori, che sarebbe giusto inquadrare bene, oppure avviarsi sulla strada della valutazione del danno, il che sarebbe incoerente con la «ratio» di questa progettata normativa.

Ma detto ciò, è opportuno che il progetto di riforma, una volta messo a punto, passi sollecitamente all’esame di merito in Parlamento. Nei mesi scorsi, con l’introduzione del reato di autoriciclaggio e con i progettati interventi sul reato di corruzione nonché sulle illecite esportazioni di capitali, si sono fatti dei passi in avanti nell’azione di prevenzione e di contrasto della criminalità economica e finanziaria e nella battaglia contro l’evasione fiscale, nonché, in generale, contro il lavoro nero. Pur con alcuni limiti nella confezione delle norme, si tratta di rivisitazioni attese da tempo alle quali, dunque, opportunamente si è dato corso. Ma questi reati trovano quasi sempre il loro «primum movens» in quello, a monte, del falso in bilancio, strategico nella formazione illecita della provvista di risorse. In sostanza, senza incidere anche su questo reato, gli altri, ora menzionati, perdono una buona parte della loro forza dissuasiva e punitiva. Altro, dunque, che rinvigorire il contrasto delle evasioni.

Un intervento sulle falsificazioni di bilancio è altresì fondamentale per far sì che la concorrenza tra soggetti economici si svolga ad armi pari, senza che vi possa essere chi si avvantaggi della capacità manipolatoria dell’esposizione dei fatti della gestione nel bilancio, che è la rappresentazione fondamentale dell’identità di una impresa.

Da un bilancio che contenga dei dati falsi vengono danneggiati altresì la trasparenza e l’affidamento dei terzi: si tratta, insomma, del primo anello di una catena molto lunga e distorsiva delle transazioni e della fiducia che è cruciale nelle relazioni economiche. Ma l’azione repressiva attraverso il rafforzamento delle norme è una parte delle iniziative da affrontare in questo campo. L’altra parte compete ai diversi organi di controllo, sia per le direttive che essi emanano per la corretta compilazione dei bilanci, sia per l’azione di controllo, di contrasto e di repressione nei limiti, naturalmente, di ciò che loro spetta.

Questa della revisione in questione, in ogni caso, potrebbe essere l’occasione per mettere in cantiere la revisione di diversi istituti della regolazione dell’economia, a cominciare dal Testo unico della finanza del 1998 che, oggi, in molti punti appare superato e, comunque, dovrebbe tener conto dell’infittirsi della regolamentazione europea. È giusto, in definitiva, sostenere che la riforma non debba essere eccessivamente punitiva ed è altrettanto giusto considerare anche la fase attuale di non superate gravi difficoltà dell’economia.

Dunque, una riflessione ulteriore andrà fatta sul modo in cui tener conto degli errori, come chiede la Confindustria; ma ciò presuppone l’agire in spazi ristretti. Una impostazione, in questo campo, a maglie larghe sarebbe la classica innovazione gattopardesca che innova in molti punti per lasciare, alla fin fine, tutto inalterato. E, allora, ci sarebbe da chiedersi perché prodursi in questo sforzo pseudo-riformatore e accreditarne addirittura la validità e dove siano finite tutte le giuste reazioni contro gli illeciti economici.

D’altro canto, perché si dovrebbe stringere in sede applicativa sul reato che ora, con alcuni eccessi di rappresentazione, sembra stia diventando di moda e, a volte, riassumere impropriamente altri comportamenti negligenti o illeciti, cioè il reato di ostacolo all’attività di Vigilanza, quando si intendesse continuare in un atteggiamento non il migliore sul falso in bilancio?


CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter