Nessuno più di un greco comprende il senso della tragedia: conflitto terribile tra inconciliabili concezioni del mondo, incolmabile distanza tra fedeltà assolute ed escludenti.
Nessuno più di un greco comprende il senso dei poemi omerici, il senso dell’eroismo e delle lunghe battaglie combattute a Troia, fino all’epopea del ritorno a casa.
Tsipras-Aiace si è presentato a Bruxelles, pronto alla battaglia finale, senza porre sul tavolo una alternativa diversa dalla sconfitta irrimediabile di uno dei contendenti. Solo contro tutti gli altri membri dell’Eurogruppo, senza sodali, doveva dimostrare al mondo intero di essere il più forte, meritando l’eredità di Achille e il suo scudo. E, come Aiace, Tsipras è stato colto da una improvvisa pazzia, chissà da quale divinità olimpica ingannato, addirittura scambiando i documenti da inviare a Bruxelles: quelli falsi che siglavano una resa disonorevole, al posto di quelli veri con cui teneva ferma la posizione.
Accortosi dell’errore e della incombente sconfitta, se fosse stata tragedia, avrebbe dovuto sacrificare se stesso per la vergogna. In un gorgo di sofferenze, anche la sua Patria ne sarebbe stata travolta.
Diversamente da Aiace, Tsipras ha accettato il fato, evento superiore contro cui vano è opporsi. Ha compreso che l’eroismo sarebbe stato nefasto: chinato il capo, ha firmato un accordo-ponte, tacciato di tradimento dai suoi stessi sostenitori.
E’ epopea eroica, più che tragedia. Dismesso il ruolo di Aiace, Tsipras impersona l’Ulisse degli stratagemmi, che già Dante confinò all’Inferno fra i traditori degli amici. A Bruxelles, senza via di uscita se non dall’euro, con la catastrofe finanziaria annunciata, Tsipras-Ulisse ha comprato tempo.
Ha bisogno di alleati in Europa: attende rinforzi dagli spagnoli di Podemos, che faranno sentire la propria voce alle elezioni politiche di maggio. Ha bisogno di mettere alla frusta anche i concittadini, minacciando con una severa tassazione patrimoniale coloro che nella battaglia contro l’austerità si sono chiamati fuori. Non basterà a sanare l’orgoglio ferito dei tanti che lo avevano votato, ma serve da monito: l’austerità è un letto di Procuste, che senza eccezioni tutti dilania.
Tsipras-Ulisse ha già dimostrato lucida determinazione, sempre escludendo nel corso della campagna elettorale che tra i suoi obiettivi ci fosse l’uscita dall’euro: se solo lo avesse ipotizzato, avrebbe scatenato l’ira della speculazione finanziaria, quella sì davvero funesta. Ha raccolto così il consenso popolare promettendo che avrebbe chiesto una ristrutturazione del debito e comunque un allentamento del vincolo sull’avanzo primario per rilanciare gli investimenti e l’occupazione: scaltro, il costo della sofferenza causata dall’austerità sarebbe ricaduto su chi l’aveva imposta ai greci. A Bruxelles, non aveva nessun’arma di mano se non il consenso popolare: troppo poco, lo sapeva fin dall’inizio.
Uscirà dall’euro, la Grecia? E’ questa l’arma nascosta nel programma inviato a Bruxelles, il cavallo di Troia che onora l’inattesa vittoria. Tsipras-Ulisse ha comprato anche il tempo che gli serve per preparare con tutto comodo la Grexit: una nuova dracma, svalutata, farebbe la felicità di tutti i greci che per anni hanno portato all’estero le loro ricchezze. Guadagnerebbero cifre colossali, come accadde per gli italiani che specularono vendendo lire prima della svalutazione del settembre 1992, per poi ricomprarle subito dopo.
Tragedia e poema eroico, così è la Grecia.