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Il mio 8 marzo

Un 7 marzo al Quirinale anticipando l’8. Sono soddisfatta di aver partecipato perché è uno strano mondo ingessato quello che ho visto ieri, molto simile agli altri anni, ma comunque diverso, quasi insofferente, per il clima che si è respirato e che conferma le mie opinioni.

La cosa più gradevole: una scoperta confortante nel Presidente Sergio Mattarella, sobrio ed essenziale nel suo rigore umano e istituzionale, nel suo ricordare che la democrazia paritaria è l’essenza della responsabilità politica ed economica e le italiane sono il volto della coesione sociale.

Fa piacere sentire valori così condivisi, potergli stringere la mano e ringraziarlo personalmente. Perché, signore mie, la platea era sempre quella: ministre e ministri in prima fila, donne delle professioni, donne della comunicazione, donne e anche qualche colletto grigio maschile, gran commis.

Siamo di fronte a ritardi insopportabili nell’evoluzione del Paese e delle sue istituzioni, inchiodati ancora nella Prima Repubblica, con i suoi riti, con ancora quel paternalismo che decapita l’entusiasmo e la speranza delle donne che credono ancora di poter essere protagoniste di un modello politico di sistema  funzionale all’Italia, con una riforma Costituzionale sbagliata già nel Senato, che non rimedia di per sé le disfunzioni parlamentari e che sta per essere partorita malamente. E ancora il Jobs act, che va  conosciuto a fondo perché nel suo complesso ha delle contraddizioni che vanno approfondite e valutate con grande attenzione, oltretutto perché non sarà in grado di riassorbire da solo la disoccupazione. Togliamoci dalla testa che spinga da solo la crescita economica.

Per fortuna che abbiamo Draghi che ci ha salvato: ma dobbiamo salvarci anche dal populismo sia della sinistra che del centro destra. La politica italiana non ha ancora trovato un equilibrio stabile e una modalità che renda efficace le istituzioni attraverso cui si esprime non avendo ancora dimostrato di autoregolarsi e rinnovarsi. Draghi  ha fatto una operazione straordinaria e ci ha messo a disposizione una opportunità di ripresa economica, ma se non sapremo prenderla al volo ripiomberemo nel  lungo declino e nella drammatica fase recessiva. Renzi nel suo bulimico potere accampato a Palazzo Chigi, senza ministri che contano e decidono, sta cercando  un assetto durevole, ma le italiane e gli italiani non sopportano più uno “stop and go delle larghe intese” alternato al  “tutti contro tutti”. Il decisionismo di Renzi non può essere fine a se stesso, così come il merito dei provvedimenti che si prendono (o vogliono prendere) non è indifferente. Ma, soprattutto, è un errore imperdonabile  pensare di poter fare a meno  della ridefinizione del sistema politico, delle regole che lo governano e dalla preventiva ristrutturazione della macchina amministrativa di palazzo Chigi e dei ministeri. Ecco alle donne della Repubblica Italiana  bisognerebbe riconoscere il diritto di avere un governo che governa in questa prospettiva.  Anche dopo l’8 marzo.



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