I distretti industriali sostengono l’Italia. E, tra le migliori aree distrettuali, brillano quelle del sistema moda, sebbene in aggregato i numeri del fashion siano meno brillanti di altri comparti. E’ la fotografia scattata dalla Direzione Studi e Ricerca di Intesa Sanpaolo nella settima edizione del rapporto annuale “Economia e finanza dei distretti industriali”. I distretti, infatti, che per i prossimi due anni si attendono un incremento delle vendite (+3,1 nel 2015 e +3,2% nel 29016) già nel 2014 hanno mostrato segnali di ripresa, seppur timidi, con un fatturato in crescita dell’1% (contro il ‘0,7 del 2013 e il -3,2% del 2012). Una performance migliore rispetto al manifatturiero italiano che, in linea con il periodo di impasse, ha accusato un lieve arretramento e successivamente una stagnazione. I distretti moda, secondo le simulazioni di Intesa, dovrebbero aver chiuso il 2014 in linea (+1% di fatturato, valori mediani), dovrebbero raggiungere un incremento attorno al 2,7% nel 2015, ma poi scendere al +1,7% circa nel 2016 (sempre valori mediani).
In ogni caso, il sistema moda dimostra di avere stelle importanti, piazzando sei distretti tra i primi 15 posti nella classifica dei ‘numeri uno’ per crescita e redditività. Se, infatti, il settore agroalimentare monopolizza il podio e si aggiudica i primi tre trofei, i successivi cinque gradini della scala spettano al fashion: con il quarto posto, tra le filiere produttive della moda, c’è l’occhialeria di Belluno. Seguono al quinto le calzature di San Mauro Pascoli che lasciano il sesto posto alla concia di Arzignano. Sul settimo scalino si fanno spazio la pelletteria e le calzature di Arezzo. Mentre più a sud della classifica, all’ottavo gradino, ci sono le calzature napoletane. Si torna in centro Italia con l’undicesimo che spetta alla pelletteria e alle calzature di Firenze.
Interessante l’analisi sulla rilocalizzazione. Il rapporto di Intesa spiega che “il processo di re-shoring sembra essere particolarmente diffuso all’interno dei distretti del sistema moda, dove la riduzione di capacità produttiva italiana nelle fasce qualitative più basse ha ridotto la domanda di valore aggiunto intermedio importato e, al contempo, l’affermazione delle produzioni italiane del lusso ha favorito le filiere produttive interne, sempre più attivate anche dalle maison della moda internazionali che nei distretti sono presenti con rapporti di fornitura e/o di proprietà. Si sta dunque assistendo sia al rientro o al ritorno di investimenti produttivi da parte di aziende italiane (che creano nuovi impianti o esternalizzano la produzione affidandola a terzisti del territorio), sia all’arrivo di marchi europei in cerca di qualità”.
Tra le aziende che vengono menzionate di questo processo, il rapporto fa il nome dell’inglese Burberry che ha deciso di ampliare la sua presenza in Italia. Ma anche Tod’s che, invece, amplierà il suo quartier generale a Casette D’Ete nelle Marche. Nel distretto delle calzature della Riviera del Brenta, Louis Vuitton ha fatto due acquisizioni nei primi anni del 2000 e ha aperto un nuovo stabilimento nel 2009. Mentre Prada a fine 2013 ha raddoppiato il suo sito produttivo ed entro il 2015 ha in piano il taglio del nastro di uno stabilimento per le calzature a Civitanova Marche, uno per l’abbigliamento vicino ad Ancona, un polo logistico in Toscana e uno stabilimento di pelletteria a Firenze. Salvatore Ferragamo, invece, duplicherà le dimensioni dello stabilimento nel comune di Sesto Fiorentino. Non manca all’appello, Ermenegildo Zegna che sta realizzando il polo produttivo dell’abbigliamento formale nel nuovo stabilimento Inco di San Pietro Mosezzo (Novara) e del polo della pelletteria e delle calzature Zefer a Parma. Punta sul distretto umbro, invece, Brunello Cucinelli che sta investendo in nuova capacità produttiva (solo nel 2013 sono stati spesi 14 milioni di euro nell’ampliamento degli immobili destinati all’attività produttiva e logistica della sede aziendale), e nella creazione della Scuola dei Mestieri.