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Un nuovo brevetto per l’Europa (ma non per l’Italia?)

È ormai alla stretta finale, con la fissazione dei costi di registrazione e di mantenimento, la realizzazione del nuovo Brevetto Unitario: un brevetto unico per l’intero territorio dell’Unione Europea (mentre l’attuale Brevetto Europeo è solo un fascio di brevetti nazionali, concesso unitariamente ma poi “nazionalizzato” in ciascuno Stato cui il titolare voglia estenderlo, previa traduzione nella lingua locale), che sarà affiancato da una Corte Unificata dei Brevetti idonea ad assicurare unità e coerenza nella protezione.

Intanto però l’Italia rimane ancora alla finestra, da quando, nel 2012, insieme alla Spagna ha scelto di non aderire alla Cooperazione Rafforzata comunitaria da cui è nato il Brevetto Unitario; e sostiene (l’ultima volta, per bocca del Ministro dello Sviluppo Economico, pochi mesi fa) che servono ancora “approfondimenti”. Ufficialmente il no dell’Italia del 2012 nasceva dal fatto che l’italiano non fosse stato scelto tra le lingue ufficiali insieme a francese, tedesco e inglese, ma, ufficiosamente, continua a farsi sentire la pressione delle lobbies di una parte del mondo professionale che difende uno status quo ritenuto economicamente vantaggioso.

Per il mondo produttivo (le cui principali associazioni, non a caso, sostengono tutte il progetto) i vantaggi verrebbero invece dal nuovo brevetto e sarebbero tanto più forti per le piccole e medie imprese, che formano il cuore del nostro tessuto industriale e che soffrono in modo proporzionalmente maggiore dei costi della brevettazione e della difesa giudiziaria contro la contraffazione: attualmente il solo costo delle traduzioni dei brevetti concessi nelle lingue nazionali, che il nuovo sistema eviterebbe, è stimato in 270 milioni di Euro l’anno, di cui il 20% è sostenuto dalle imprese italiane.

Non è vero, del resto, come sostengono i detrattori del nuovo sistema, che esso obbligherebbe le nostre imprese a vedersi giudicate da “giudici stranieri”, diversamente da oggi: al contrario, mentre oggi le nostre imprese, se vendono i loro prodotti all’estero, possono essere attaccate in ciascuno dei Paesi dove i loro prodotti circolano, con questo sistema esse verrebbero giudicate da Corti multinazionali delle quali farebbero parte anche giudici italiani e in una causa sola per tutta l’Europa, con enorme risparmio di costi.

E non è neppure vero che il sistema cancellerebbe i brevetti nazionali, che al contrario vengono mantenuti e potranno convivere con quello unitario, come già oggi convivono col Brevetto Europeo. Anzi, proprio l’introduzione del titolo unitario, basato sulla stessa procedura di concessione dell’attuale brevetto europeo, fornirà una vantaggiosa alternativa per le nostre imprese innovative che operano sul mercato europeo, con una copertura unica sul territorio dell’UE a basso costo e priva di costosi oneri burocratici, e idonea anche a fungere da barriera alle importazioni di prodotti-copia dai Paesi extra-UE, rendendo possibile valersi contro di essi delle misure di sequestro alle frontiere comunitarie, di fatto impraticabili quando invece il brevetto non copre tutti i Paesi dell’Unione.

Dunque, la scelta del 2012 è stata un errore, al quale si deve rimediare. Un passo verso l’adesione in effetti l’Italia lo aveva fatto con il Governo Monti, aderendo almeno alla Convenzione sulla Corte Unificata dei Brevetti: anche per questa, però, la ratifica continua a farsi aspettare, nonostante siano già pronte le norme attuative, e del rientro nella Cooperazione Rafforzata non si parla proprio. Eppure, come si diceva all’inizio, questo sarebbe il momento giusto, perché autorevoli fonti europee hanno fatto sapere che l’ingresso dell’Italia aiuterebbe considerevolmente a tenere i costi di registrazione e di mantenimento a un livello competitivo. Invece, restando fuori, l’Italia perderà la quota corrispondente delle relative tasse e i conti dell’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (che oggi ha anche importanti competenze nella lotta alla contraffazione e nel finanziamento dell’internazionalizzazione del nostro sistema industriale) rischiano di non tornare più…

Ma occorre fare in fretta, perché un’Italia fuori dal Brevetto Unitario è percepita come un Paese di serie B, dove non conviene investire perché non si ha una protezione adeguata. Insomma, il Governo Renzi ha a disposizione un’ottima occasione per rendere un importante servizio insieme alla competitività delle nostre imprese e alla finanza pubblica.


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