I genitori dei ragazzi che frequentano le scuole medie del XV° Municipio di Roma ancora non lo sanno. Ma per i loro figli è in arrivo una sorpresa che rischia di scatenare un putiferio. Parliamo dell’iniziativa, votata dalla maggioranza piddina della municipalità, di promuovere in tutte le scuole secondarie inferiori del territorio il progetto denominato “Nei panni dell’altra”. Per il momento la richiesta è stata recapitata all’assessore alla scuola di Roma Capitale, Paolo Masini, perché la adotti e la sviluppi nelle scuole, poi toccherà ai dirigenti scolastici dare il benestare o meno a che il progetto entri nei loro istituti. Ma di che si tratta? In estrema sintesi, di un percorso formativo, ideato dall’associazione internazionale indipendente ActionAid, che punta a educare i giovani nella fascia d’età dai 12 ai 15 anni “contro gli stereotipi di genere”. Più in dettaglio, il progetto vuole focalizzare l’attenzione sulla diseguaglianza di genere: “Vi siete mai chiesti – si legge nell’opuscolo informativo – quali immagini e significati associamo istintivamente alle parole “donna” e “uomo”? Soffermiamoci a pensare a quali ruoli ci aspettiamo che svolgano nella società e nella famiglia, se essi sono il frutto di scelte libere o condizionate, agli stereotipi, impliciti ed espliciti che limitano ancora il raggiungimento dell’uguaglianza di genere. Possiamo affermare ad alta voce che uomini e donne godano gli stessi diritti?” Insomma, l’obiettivo è chiaro: sensibilizzare i giovani sul problema che ancora oggi le donne sono discriminate rispetto agli uomini. In primis, per il fatto stesso di essere donne. Da qui il nome del progetto, “Nei panni dell’altra”, perché è solo quando ti metti nei panni dell’altro che capisci meglio come stanno le cose. E’ anche per questo che durante il percorso formativo i maschi si vestiranno da femmine, o meglio “indosserete la quotidianità femminile – dice l’opuscolo – e proverete quanto possono essere scomodi gli stereotipi di genere.” Già qui si pone un problema: siamo proprio sicuri che il modo migliore per educare i ragazzi al rispetto della donna sia farli vestire da femmine, magari con tanto di trucco e parrucco? Non vorremmo, come spesso è accaduto in situazioni simili, che dietro il paravento delle magnifiche sorti e progressive dell’educazione alla diversità, alla tolleranza, ecc., ecc. – tutte cose in sé valide e si cui non ci sarebbe nulla da ridire – si nascondesse un progetto di tutt’altra natura, che mira a indottrinare le giovani generazioni secondo l’ideologia di gender, un mix di omosessualismo e femminismo 3.0 secondo cui l’identità sessuale degli individui non è un dato di natura ma un fatto culturale, e perciò stesso frutto della libera determinazione del singolo (chissà perché però gli esseri umani si ostinano a nascere chi con il pene chi con la vagina).
Esattamente come è avvenuto a Trieste, dove in 45 classi delle scuole dell’infanzia è stato propinato a bambini di 4 anni (leggi bene: quattro anni) il “Gioco del Rispetto”. L’iniziativa – che nelle intenzioni dei due geni che l’hanno partorita mira a contrastare, manco a dirlo, la violenza sulle donne – “propone un cambiamento di atteggiamenti sul tema del genere e delle pari opportunità, persuasi che il cambiamento culturale avviene con la formazione delle nuove generazioni“. Anche qui il gioco consiste nel far travestire i maschietti da femminucce e viceversa, ma anche il “toccarsi reciprocamente dopo aver fatto ginnastica per sentire ciò che i coetanei provano dopo la fatica, per poi acquisire maggiori competenze sensoriali ed emozionali, esplorando a vicenda i propri corpi per capire le differenze tra i bambini e le bambine“. In questo modo, “i bambini possono riconoscere che ci sono differenze fisiche che li caratterizzano, in particolare nell’area genitale“. In pratica, il gioco del dottore 2.0, rivisitato in chiave politically correct. Naturalmente la cosa non è passata inosservata, e dopo la denuncia dell’accaduto da parte di un genitore che ne ha scritto sul settimanale diocesano, in poco tempo è finita sui banchi del parlamento. Dove però, manco a farlo apposta, è in discussione un disegno di legge governativo il cui titolo è tutto un programma: “Introduzione dell’educazione di genere e della prospettiva di genere nelle attività e nei materiali didattici delle scuole del sistema nazionale di istruzione e nelle università”. Tornando ai fatti di Roma, al momento, dicevamo, la richiesta del XV Municipio è arrivata sulla scrivania dell’assessore Masini, che ora dovrà pronunciarsi. Ma, c’è da scommetterci, vista la sensibilità su certe tematiche mostrata anche di recente (si veda la contrastata vicenda che ha coinvolto la scuola dell’infanzia Contardo Ferrini, con le polemiche innescate dalla decisione del collegio docenti di sopprimere la festa del papà e della mamma), l’esito appare scontato. Tanto più ora che la Giunta Marino, come si è appreso nei giorni scorsi, si è detta pronta a varare un Piano Lgbt (sigla che sta per Lesbian, Gay, Bisesxual, Transgender). Il Piano, ha spiegato l’assessore al Patrimonio e Pari opportunità, Alessandra Cattoi, si articolerà in «una serie di misure concrete per garantire la piena cittadinanza delle persone Lgbt e per favorire un clima sociale rispettoso delle differenze. Le nostre politiche di inclusione sociale di gay, lesbiche, bisessuali e transgender spaziano anche in settori strategici: il turismo, attraverso appunto l’attivazione di una app dedicata; lo sport, con tornei negli impianti comunali; la promozione culturale, con eventi specifici in occasione, per esempio, della Giornata internazionale contro l’omofobia o della Settimana Rainbow». Piccolo particolare: le iniziative e le misure citate dall’Assessore Cattoi, altro non sono che la messa in pratica di quanto prevede il documento intitolato, non a caso, “Strategia per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento di genere e sull’identità di genere”, varato nel 2013 dall’Unar, l’Ufficio nazionale antidiscrimnazioni razziali del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Della serie: chi ha orecchi per intendere, intenda.
“Nei panni dell’altra”. Un’altra iniziativa gender a Roma?
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