Il calcio italiano fa le valige. O almeno vorrebbe farle, nel tentativo di aumentare in modo significativo (e, probabilmente, vitale) il fatturato.
La Lega di Serie A ne parla da tempo ma solo la settimana scorsa ha avuto il coraggio di uscire allo scoperto. Lo ha fatto, a nome di tutti (almeno si spera) Aurelio De Laurentiis. Il vulcanico e mai banale presidente del Napoli ha scelto Twitter (ormai una consuetudine) per rendere pubblico il progetto: “In Lega stiamo decidendo di giocare la prima giornata di campionato del prossimo anno in 10 città diverse nel mondo” il cinguettio di ADL.
Concetto successivamente ampliato su Radio Kiss Kiss: “Stiamo verificando la fattibilità del progetto, Sky permettendo – ha puntualizzato. – L’idea non è mia e si era partiti da Londra, poi però l’appetito vien mangiando e stiamo pensando a New York, Parigi, Giacarta, Pechino e Shanghai”. Un vero e proprio campionato itinerante insomma, la più grande rivoluzione che il calcio abbia mai vissuto.
Nessuno mai infatti ha pensato a tanto, nemmeno l’avveniristica Premier League, peraltro molto più seguita nel mondo. Gli inglesi hanno accarezzato l’idea qualche anno fa, poi però l’hanno riposta in soffitta (almeno per il momento). Questione di tradizioni che, nel regno della Regina Elisabetta, hanno ancora un peso troppo grande per essere calpestate in nome del business. Anche da noi ci sarebbe lo stesso problema, inutile negarlo, a cui peraltro se ne aggiungerebbe uno molto più grosso che risponde al nome di Sky.
La tv di Murdoch è il vero motore della Serie A: ne sanno qualcosa Juventus (153 milioni a stagione), Milan (122), Napoli (107) e Inter (84), i cui bilanci stanno in piedi (per modo di dire visto che, almeno per le milanesi, è sempre necessario l’intervento delle proprietà) proprio grazie a lei. Accetterebbe Sky un simile frazionamento in giro per il mondo, con conseguenti orari impossibili (almeno per gli italiani) e sostanziale snaturamento del prodotto?
Probabilmente no ma qui sta la vera scommessa della Lega: perdere gli introiti nostrani per guadagnare quelli internazionali. Che, nei piani di Via Rosellini, sarebbero moltiplicati all’infinito. La pulce nell’orecchio l’ha messa MP&Silva, advisor dei diritti tv all’estero, che recentemente ha portato in dote, per il prossimo triennio, 186 milioni di euro, ben 69 in più (all’anno) rispetto all’accordo precedente. Nelle teste dei presidenti, sempre a caccia di quattrini, si è accesa una lampadina: “Vuoi vedere che il calcio italiano tira più all’estero che in patria?”, si sono chiesti tra il serio e il faceto.
Per ora ci si limita a studiare l’idea e a farla circolare, anche per capire un po’ le reazioni della gente, intanto però in molti spingono per la novità. Non a caso è stato deciso che la Supercoppa Italiana, finora un po’ itinerante (nel 2014 si è giocata a Doha, nel 2015 sarà a Pechino) e un po’ no (nel 2013 si disputò a Roma), verrà giocata sempre all’estero e che il primo turno di Coppa Italia, quello in cui entrano in scena le big, potrebbe fare la stessa fine. Magari nel periodo natalizio, quello in cui il campionato si ferma per qualche giorno di vacanza. Tante novità ad agitare il mare del calcio, che magari resteranno solo boutade o magari no. Di una cosa però siamo sicuri: l’Italia comincia a stare stretta.