Siamo incapaci di comprendere i “segni dei tempi”. Eppure viviamo nella “società digitale”, dove tutto ci arriva in tempo reale. Ma ciò non basta, evidentemente, per ritornare nel mondo-della-vita. L’esasperazione tecnologica e tecnocratica, unita ad un innaturale “spirito competitivo”, ci sta rendendo profondamente inumani.
La storia ci è sfuggita di mano, quella storia che, al di là della retorica dominante, ci parla con le voci e con le storie dei martiri del terzo millennio.
Dicevo dei “segni dei tempi”. Parliamo ancora di immigrati e non ci rendiamo conto che siamo di fronte ad esodi biblici, che siamo nel pieno di rivolgimenti epocali che stanno mettendo in discussione il tanto declamato “ordine internazionale”; esistiamo in un mondo senza leadership, dove i rapporti di forza si esasperano in compromessi al ribasso e dove non si vedono visioni politiche di convivenza; pratichiamo l’esaltazione dei valori ma non la loro incarnazione, parliamo di libertà, pace, sviluppo, solidarietà, democrazia e restituiamo alla realtà il loro esatto contrario; siamo immersi in dinamiche economico-finanziarie che, anziché dare forma storica a visioni politiche, si auto-rigenerano nell’interesse di pochissimi. E tutto questo succede nelle nostre vite ed in modo profondamente interrelato. E l’informazione, diventata “circo mediatico”, ci mostra la superficialità dei problemi, non già la loro essenza.
Detto ciò, chi scrive pensa che sia l’ora di un grande impegno globale, a partire da ciascuno di noi. E’ l’ora di prendere atto che siamo di fronte a sfide sistemiche e dobbiamo riappropriaci della nostra storia personale nel contesto della storia comune; nessuno può più permettersi di girarsi dall’altra parte. E’ in gioco, infatti, la sopravvivenza dell’umanità, del progetto umano.