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Calcio, ecco come i fondi di investimento fanno goal

Padroni in casa d’altri. Da un po’ di tempo a questa parte, infatti, a controllare i giocatori non sono più i presidenti bensì i fondi d’investimento. Un fenomeno non ancora globale ma comunque molto diffuso, quantomeno nel calcio che conta.

Prendete la Champions League, senza alcun dubbio il gotha del football europeo. Come riportato dal Foglio, nelle 8 squadre arrivate ai quarti di finale solo il Bayern Monaco non deve fare i conti con le TPO (Third Party Ownership). Si tratta di fondi d’investimento che posseggono i cartellini dei giocatori, o quantomeno alcune parti di essi.

Questi spostano i propri atleti dove ritengono più opportuno, ovviamente guadagnandoci sopra un mucchio di quattrini.

E’ il caso di Radamel Falcao, tanto per fare un esempio illustre: il colombiano, soprannominato El Tigre, è arrivato in Europa nel 2009 (Porto) e da allora ha già cambiato tre maglie. Prima l’Atletico Madrid, poi il Monaco, infine il Manchester United, squadra da cui, peraltro, farà presto le valige. Trasferimenti da molti milioni (quello da Madrid a Montecarlo ne valse ben 60), quasi tutti finiti nelle tasche di Jorge Mendes, famosissimo procuratore e proprietario della Doyen Sports Investment, non nelle casse dei rispettivi club.

Vi starete chiedendo se, in tutto questo, c’è qualcosa di male e se sì che cosa. Ebbene la situazione in sé non è illegale, ci mancherebbe, ma porta in dote tutta una serie di effetti collaterali, loro sì ai confini, per non dire al di là, della legge.

Questi fondi infatti hanno sede legale in vari paradisi fiscali, il che rende impossibile un vero e proprio controllo sui flussi di denaro. Inoltre fanno sì che il valore dei giocatori si moltiplichi in modo molto strano, a volte inspiegabile. Prendete Danilo, terzino del Porto appena passato al Real Madrid per 31 milioni.

Questa la valutazione dei portoghesi ma a luglio, mese in cui si concretizzerà il trasferimento, gli spagnoli ne tireranno fuori 39. Gli 8 in più, il 25% del valore complessivo, finiranno in commissioni.

La paura delle istituzioni calcistiche (Fifa e Uefa) è che si crei un’economia parallela, una sorta di bolla speculativa a vantaggio di affaristi senza scrupoli. Perché il sistema non tocca solo le grandi d’Europa, laddove i riflettori sono sempre accesi, ma anche le squadre un po’ meno “illuminate”. E così assistiamo a casi tipo quello del Parma, controllore di oltre 300 giocatori, tra cui l’intera Nova Goriça. Insomma, il giochino sposta soldi ma arricchisce solo poche persone, spesso a scapito di tante altre, inoltre, quando non funziona, può avere effetti devastanti.

L’Uefa ha cominciato la sua battaglia contro le TPO nel 2012, la Fifa sta cercando di renderle illegali dal prossimo 1 maggio. Intanto però il sistema ha preso piede, tanto da diventare una prassi un po’ dappertutto. La Juve, giusto per citare la capolista della nostra Serie A, ha comprato così Tevez e Morata, il Palermo di Zamparini, già alle prese col caso Pastore, lo ha rifatto con Dybala. Fino a qui tutto bene, o quasi: il caso Parma infatti, pur se inficiato da altre questioni, non è precedente positivo. Da una parte le regole, dall’altra la fame di ricchezza. In mezzo club e giocatori, sempre più ostaggi di affaristi senza scrupoli.


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