Non troppo timidamente e neanche sommessamente non mi piace celebrare la giornata dedicata al lavoro, motore dell’economia e della dignità dell’uomo, di cui si dimentica troppo spesso la ‘cattiva‘ politica, e del resto la crisi della classe politica è una crisi nazionale che riguarda sia il centro sinistra che il centro destra.
Quindi ritengo utile ricordare quando e come di lavoro nella memoria storica la ‘grande politica‘ si sia occupata, come la politica possa essere stata cosa grande, luogo di passione e di razionalità, studio di progettualità.
L’idea che la politica è anche schieramento e quindi trasparenza nei comportamenti, difesa dei piccoli e dei deboli, passione per le proprie idee senza alcun compromesso, tra quello che fu il socialismo delle riforme di struttura e il cattolicesimo sociale, con quel filo rosso che ha creato a livello dello Stato quel clima culturale il ‘cervello sociale’ che ha permesso lo sviluppo del benessere in Italia, che fu la nascita del ‘modello sociale che oggi bisogna ricostruire alla luce dei cambiamenti.
A Torino il 1 Maggio 1976 ebbi l’occasione di ascoltare alla radio, probabilmente l’intervento più importante per spessore che un politico abbia tenuto in Italia, quello di Riccardo Lombardi che ci spiegò il suo pensiero economico e politico. Quell’analisi è ancora valida in quanto l’attuale crisi è dovuta all’incapacità della classe politica di orientare e dominare coscientemente l’organizzazione economica della società. Lombardi spiegò che il capitalismo politico nella sua corsa alla capitalizzazione del reddito e al suo reinvestimento aveva teso, per sua forza naturale, a depauperare permanentemente la capacità di acquisto della maggioranza della popolazione, e, puntando alla acquisizione del massimo reddito, puntava, come conseguenza, alla diminuzione massima possibile dei salari. Da un lato, attraverso gli investimenti maggiori e progredienti, una capacità produttiva sempre maggiore, dall’altro capacità di consumo e di acquisto da parte delle masse popolari sempre minori, di qui la crisi e la catastrofe del capitalismo, stretto, a un certo punto, nella morsa dell’eccesso di produzione e della depauperazione del consumo.
Oggi la diminuzione del lavoro ha portato ad un forte contrazione dei consumi, la quale ha portato ad un eccesso di capacità produttiva solo in alcune aziende in cui la tecnologia e il capitale fisso è molto sviluppato. Come si può intervenire contro le gravi crisi economiche? La ricetta di Lombardi è possibile ancora oggi: c’è bisogno di pianificazione nell’ambito aziendale, intersettoriale, e c’è bisogno anche di una programmazione da parte dello stato e dell’Europa; perché ci sono degli elementi di stabilizzazione, di compensazione del ciclo e ci sono soprattutto dei tipi di servizi che lo stato e la dimensione europea devono necessariamente fornire, anche integrandosi, e che sono la condizione stessa della vitalità e dello sviluppo dell’economia.
Allora Lombardi parlava dell’istruzione tecnica e dell’istruzione elementare e media, oggi di quella superiore e universitaria, o della viabilità, ma parlava anche di qualche cosa di più come la fornitura di certi elementi produttivi basilari che sono indispensabili e che non consentono più la corsa all’accumulazione attraverso il massimo profitto: parlava delle fonti energetiche, per esempio, e della siderurgia, oggi più che mai del sistema bancario e del credito. Diceva Lombardi: “Riuscire a imporre l’idea della programmazione a una classe politica riluttante, ‘dobbiamo pianificare, dobbiamo programmare soltanto per rendere più razionale il dispositivo produttivo e dei consumi del sistema, perché la programmazione non può avere solo carattere ‘produttivo’ non può essere solo l’obiettivo macroeconomico, come era stato stabilito 5% (allora!!) di incremento del PIL per 5 anni.
Giolitti puntualizzava in modo molto preciso dicendo che noi abbiamo un orto molto infestato da erbacce, portando via le erbacce l’orto cresce più florido, però è sempre lo stesso orto: se è meglio organizzato, dà frutti migliori, certo, e quindi anche una possibilità di ripartizione del reddito, e allora- raccomandava Lombardi- però è sempre quell’orto, è sempre l’organizzazione che non ha risolto il problema fondamentale del potere, che non ha scelto la direzione cosciente verso finalità che non siano le finalità del profitto ma quella di creare lavoro .
Intervenire con una pianificazione, certo razionalizzando il sistema, ma razionalizzandolo su uno scopo e introducendo gli elementi dinamici necessari, indispensabili a questo scopo, non per mantenere un giardino meglio coltivato e più prospero, ma per cambiare la cultura, per cambiare il sistema e poter aumentare gli investimenti attraverso le grandi organizzazioni finanziarie”.
Oggi vi è una dispersione immensa di risorse pubbliche e di contro una domanda di più cultura, più soddisfazione ai bisogni umani, più capacità per gli italiani di leggere Dante o di apprezzare Caravaggio e di capire di come è fatta l’Europa, è una società capace di studiare, di apprezzare i beni essenziali della vita, con diversi bisogni e poteri e con diversa dignità. Il prezzo che si paga è quello di consolidare in Italia una politica moderata, riformista, cristiana. E tra il socialismo delle riforme di struttura di Lombardi e il cattolicesimo sociale di Giorgio La Pira le analogie sono tante .
Il ruolo dello Stato secondo La Pira: “Ma la parola Stato non deve spaventare: è suscettiva di vaste analisi. Non significa necessariamente né la burocrazia imbelle, né la distruzione di ogni vita personale, propulsiva: può e deve, invece, significare l’intervento organico, rapido, stimolativo integratore, dell’iniziativa umana! È lo stato nuovo, con lettera maiuscola se volete: uno stato proporzionato alla velocità attuale, sempre in crescita dell’azione umana: lo Stato fatto davvero per la persona umana: si sa, c’è da cambiare parecchio nell’attuale arteriosclerotica struttura statale”. Ancora La Pira: “La grave crisi incombe sulla città, si tratta dei circa tremila operai del Pignone che stanno per perdere il posto di lavoro a causa della decisione della direzione di chiudere la fabbrica”. Il Sindaco si schiera dalla parte degli operai, non dorme la notte, mobilita mezzo mondo per tentare di impedire la chiusura. Alla fine si rivolge a Enrico Mattei, il presidente dell’AGIP obietta che lui si occupa di petrolio e non di metalmeccanica. Ma La Pira non demorde, si reca a Roma “assedia” Mattei e infine l’AGIP decide di affiliarsi allo stabilimento fiorentino: il Pignone era salvo. (da Bedini Giorgio La Pira tra Italia e Mondo).
A cosa serve una città secondo La Pira? Ce lo spiega nel libro” Le città sono vive”, in cui egli enunciava così il suo ideale: “In una città un posto ci deve essere per tutti: un posto per pregare (la chiesa), un posto per amare (la casa), un posto per lavorare (l’officina), un posto per imparare (la scuola), un posto per guarire (l’ospedale)”.
L’ intervento pubblico di La Pira non è stato ideologismo di bassa lega ma ha creato un modello di sviluppo della città, e ricordiamoci che senza il modello sociale locale di La Pira non ci sarebbe stato reddito disponibile per le famiglie, senza reddito non ci sarebbe stato sviluppo del commercio e dei piccoli imprenditori commercianti, dunque lavoro. Ma lo sviluppo degli artigiani fiorentini e dei piccoli imprenditori è stato possibile solo in presenza di una grande industria, ieri, oggi di una politica industriale che non c’è.
Per concludere una nuova classe politica deve uscire dal pancreas, dal fegato di uomini come Riccardo Lombardi e Giorgio La Pira intellettuali prestati alla politica e non spendibili per i poteri forti, schierati dunque dalla parte delle donne degli uomini e del lavoro. Schierati dalla parte delle Conoscenze che è il presupposto ad una economia del benessere, del bene comune, basata sulla crescita qualitativa e lo sviluppo della domanda aggregata creando un reddito disponibile e con aspettative razionali positive.
Il reddito disponibile si sviluppa dentro il lavoro, dentro la capacità da parte del lavoro di sviluppare valore soprattutto a livello sociale. E l’innovazione sociale per essere tale deve essere proiezione di studio e di analisi ma con un solido referente nella memoria storica e non novismo trasformistico, quel trasformismo arrogante in Italia oggi è imperante.