Dopo la ricostruzione di Formiche.net, il corsivo del direttore Michele Arnese, e il contributo di Giovanni Sgambati, segretario generale della Uilm di Napoli e della Campania, ecco l‘intervento di Antonio Apa, segretario generale della Uilm di Genova che si inserisce negli approfondimenti dedicati dal sito alla vertenza sindacale in Fincantieri.
Se l’industria italiana in questi ultimi anni è giunta ad acquisire una posizione di rilancio nel comparto dell’alta tecnologia, questo lo deve anche ai risultati conseguiti da Fincantieri, la quale nonostante la crisi non solo ha conquistato ingenti commesse nel settore civile, non ultima la maxi commessa di Carnival che, unitamente ai fondi stanziati per la nona e decima Fremm per il completamento dell’accordo italo francese e al varo della legge navale con 5,4 miliardi di euro sul versante militare, offre solide garanzie industriali, carichi di lavoro per tutti i cantieri italiani e occupazione oltre il 2020.
In questo contesto la società cantieristica ha diversificato ulteriormente le sue attività in più settori affermandosi nel mondo con un prodotto ad alto valore aggiunto dove c’è il meglio del “Made in Italy”. Il gruppo dirigente non ha drammatizzato a suo tempo né ha partorito, nonostante la crisi degli anni passati e le difficoltà di mercato, una drastica cura da cavallo come ha proposto Finmeccanica.
Anzi, Fincantieri è una delle poche società italiane quotata in borsa considerata cacciatrice e non preda, come purtroppo si sta verificando in altri settori industriali. Non a caso, con un titolo degno di un poema cavalleresco, il quotidiano francese “Les echos” ha dedicato un ampio spazio alla storia ed al futuro del grande gruppo cantieristico italiano in un momento chiave della crescita sui mercati internazionali (lo stesso oggi è presente in quattro continenti) in occasione del varo della Britannia. Stranamente l’interesse dei francesi è suscitato dal fatto contingente per i grandi cantieri di Saint Nazaire.
Un passaggio significativo coerente con la strategia di crescita per acquisizioni e diversificazioni per segmenti produttivi, volute e messe in atto dai vertici Fincantieri, per un processo necessario di consolidamento ed integrazione dei cantieri a livello europeo. Ma davvero in un quadro stabile di questa natura qualcuno pensa seriamente che Fincantieri possa portare le produzioni all’estero o di comprimere i diritti dei lavoratori o che addirittura si possa mettere a rischio la cantieristica nazionale e ligure di Riva Trigoso, Sestri Ponente e della Direzione di via Cipro? Queste sono autentiche voci fuori dal coro. Posso capire le forze politiche, nelle imminenti elezioni regionali, che anziché affrontare i problemi veri (come quelli delle infrastrutture necessarie come il ribaltamento a mare, struttura necessaria per il recupero di competitività del cantieri di Sestri Ponente), ne inventano di falsi per dire poi che sono stati loro a risolverli ingannando elettori e lavoratori.
Stupisce che queste dicerie vengano evidenziate dalle Istituzioni e dalle forze politiche, in quanto a chi scrive risulta che nessun degli otto siti produttivi italiani sia messo in discussione dal punto di vista della continuità produttiva ed occupazionale. E’ bene allora che la vertenza sul rinnovo del contratto di secondo livello sia scevra da invadenze improprie e venga ricondotta al confronto tra le parti sociali, senza invocare interventi governativi che sanno di ridicolo, ma affrontando con Fincantieri le vere questioni che non possono essere sottovalutate dalle organizzazioni sindacali.
Siamo in un momento tattico: le forzature di Fincantieri in questa fase stanno nel gioco delle parti, anche se non condivido le scelte compiute dalla stessa società attraverso atti unilaterali. Quali sono i veri snodi che ha posto Fincantieri sul negoziato? Il mercato; l’anticipo irrisorio del 20% che danno i committenti sulla costruzione della nave; le garanzie fideiussorie date da Sace che hanno un costo del 2/3% in più rispetto agli altri cantieri operanti nel mercato europeo; il costo del sistema paese a partire dall’alta tassazione e quello della burocrazia, che rendono esorbitante il costo lavoro sul prodotto nave per circa 20 milioni di euro in più rispetto alla concorrenza europea.
A fronte di questo scenario, per migliorare i margini del prodotto e di una crescita del portafoglio ordini, Fincantieri ha avanzato l’idea di aumentare la redditività puntando a logiche di razionalizzazione ed efficienza, avviando un processo di razionalità delle produzioni funzionali a riportare direttamente le attività manifatturiere a maggior valore aggiunto dentro il perimetro; superando la strategia degli appalti a imprese terze, in modo da recuperare redditività volte a raggiungere volumi di vendita di prodotti in mercati sempre più competitivi; garantendo la piena saturazione degli impianti di tutti i siti produttivi italiani. Insomma, il nodo vero proposto da Fincantieri, è una maggiore flessibilità sia gestionale che di prestazione.
Per il sindacato sostenere che questo non è un problema è sbagliato; è vero che ci sono delle lacune sul piano gestionale attinenti alla responsabilità di Fincantieri, ma questo non può essere l’alibi per non affrontare i nodi della competitività. In questo contesto va collocato l’insieme della partita salariale. La cosa incomprensibile è che, mentre a Finmeccanica è consentito fare tutte le scelte industriali, anche le più nefaste, non ultima la vicenda della vendita del settore trasporti (dove il sindacato ha subito senza intervenire), a Fincantieri si impedisce di fare qualsiasi scelta industriale che va nella direzione dello sviluppo e del consolidamento della società.
Comunque la vera sfida che l’azienda ci ha lanciato si muove nell’ambito delle leggi vigenti e delle norme contrattuali. Sta a noi coglierne il significato, in chiarezza con i lavoratori, costruendo un percorso con la stessa che le consenta di essere più competitiva sul mercato, realizzando nuove e più avanzate relazioni sindacali.
Se, viceversa, qualcuno pensa di fare di Fincantieri un laboratorio di scontro politico come è successo con Fiat dal 2010 in poi, ha sbagliato i calcoli; evidentemente non ha tratto nessuna lezione dopo la sonora sconfitta presa proprio rispetto all’attuale gruppo Fca che in Italia ha rilanciato produzioni ed occupazione. E’ del tutto evidente che una forza sindacale che si avvia a diventare contenitore politico del disagio sociale, ha bisogno di rappresentare scenari nefasti per spaventare i lavoratori.
La Uilm non ha bisogno di prefigurare simili scenari; inoltre la vicenda di Franco Tosi dovrebbe portare qualcuno a meditare seriamente. La Uilm non esporrà i lavoratori a sfide avventuristiche; lo abbiamo dimostrato a dicembre del 2011 con l’accordo separato sottoscritto al Ministero del lavoro, che ha prodotto le basi per il rilancio della cantieristica, non siglato dalla Fiom; nel 2009 con la vertenza integrativa firmata dalle sole Fim e Uilm e con gli innumerevoli accordi separati siglati nel gruppo, come quello del 2012 dove abbiamo messo in sicurezza la Divisione militare ligure. Senza quell’accordo la sede sarebbe stata trasferita a Trieste.
Questi sono i nodi veri della vertenza. Come se ne esce? Facendo il nostro mestiere, ovvero quello di negoziare e fare accordi. Lo faremo come abbiamo sempre fatto costruendo aspetti normativi e salariali per i lavoratori, affrontando allo stesso tempo i temi dello sviluppo e della competitività per rendere ancora più solida la società.