Da parte atlantica, almeno sotto il profilo della comunicazione, le segnalazioni di peggioramento della situazione nella zona del Donbass e poi più in generale nelle relazioni orientali in Europa sono numerose.
Il 30 aprile scorso il generale Philip Breedlove, comandante supremo delle Forze alleate in Europa (Saceur) ha detto alla commissione Forze armate del Senato americano che vi sono segnali di preparazione di una nuova offensiva filorussa in Ucraina, sottolineando recenti movimenti e ingressi nel Donbass di mezzi e truppe.
Malgrado alcuni commentatori abbiano criticato Breedlove, il Financial Times ha acceso il 5 maggio i riflettori sul mutato clima. Oltre al citato movimento di persone e mezzi, si è notata una rinnovata attività, che si dice fuori controllo di Kiev, dei battaglioni di volontari sostenuti dagli oligarchi ucraini. D’altra parte si teme sempre un attacco filo-russo alla città marittima di Marioupol, a partire dalla cittadina Shyrokyne, a soli 10 chilometri, su cui la rafforzata pressione militare dura ormai da metà aprile.
La campagna di comunicazione si svolge in parallelo a una rinnovata azione diplomatica, con le recenti pressioni francese, tedesca a britannica nei confronti del governo ucraino per l’applicazione integrale degli accordi Minsk II, che prevedono in particolare la concessione di uno statuto speciale per i territori occupati del Donbass. La riforma del sistema regionale (illustrata da Formiche.net) allo stato attuale non prevede regimi particolari per le sottozone occupate delle regioni di Luhansk e di Donetsk. Per questo il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, nella visita a Kiev del 27 aprile scorso, ha confermato l’impegno sull’accordo di libero scambio per il 2016 ma si è prodotto anche in espliciti inviti alla prudenza e in richiami a Minsk II.
A Bolzano il 5 maggio, il presidente del Consiglio Matteo Renzi a sua volta ricordava l’esperienza di autonomia altoatesina come modello anche per l’Ucraina, mentre lo stesso giorno a una conferenza all’Ispi, il ministro degli Affari esteri Paolo Gentiloni, prima di prendere l’aereo per Varsavia e poi per Kiev, faceva qualche concessione in più al ruolo strategico della Russia anche nel Mediterraneo, probabilmente facendo rizzare qualche capello su molte teste atlantiche. La Germania tenta di tenere aperta una finestra Russia: l’otto maggio, mentre a Mosca c’era Cina e Grecia, il ministro degli esteri tedesco Frank-Walker Steinmeier era a Volgograd a celebrare la vecchia Stalingrado, che segnò il cambio dei rapporti di forza durante la seconda Guerra Mondiale.
Il rumore di fondo (e di sciabole) è sempre presente, con annunci di cariche di profondità contro un sospetto sottomarino in prossimità di Helsinki il 27 aprile, conflitti verbali in materia di reti del gas che rompono in monopolio Gazprom in Lettonia, l’interruzione del cavo elettrico Nordbalt tra Svezia e Lituania, casi di sconfinamento e contatti aerei durante i pattugliamenti Nato. In Romania la base di difesa anti-missili di Deveselu sarà pronta per la fine dell’anno e scatena gli strali del ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov, mentre si annunciano a breve manovre militari occidentali, pur limitate a mille uomini, nelle zone centrali dei Carpazi, con la partecipazione di 21 Paesi per 12 giorni e sotto la guida del comando alleato che si sposterà per l’occasione da Napoli.
Siamo dunque nel pieno di un’operazione d’informazione e di scambi diplomatici, di una specie di campagna di primavera, di comunicazione e contenimento di possibili nuove crisi dopo le celebrazioni del 9 maggio, data in cui la Russia presenta sulla Piazza Rossa il nuovo carro armato T-14 Armata, di cui si narra la superiorità rispetto ai corrispondenti mezzi occidentali.